Editoriali
11 Aprile 2023
Editoriale. La diseguaglianza sociale emersa nelle parole della rappresentante degli studenti davanti a Mattarella

I cittadini di domani chiedono un oggi

di Marco Zavagli | 5 min

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(foto di Riccardo Giori)

Luigi Marattin, deputato di Italia Viva e brillante docente universitario, non ha applaudito la studentessa Alessandra De Fazio.

De Fazio ha parlato come presidente del Consiglio degli studenti martedì scorso, all’inaugurazione dell’anno accademico, di fronte al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Non c’era infatti nulla da applaudire. C’era da piangere. Specialmente da parte di chi pare non aver raccolto quel grido in cerca di una bocca.

Marattin legge quelle parole come “moda del momento, visto che discorsi del tutto analoghi sono pronunciati dai suoi colleghi in tutte le occasioni simili”. Temo che la similarità che riscontra l’onorevole sia dovuta al fatto che gli stessi problemi denunciati da De Fazio colpiscono molti atenei italiani.

Secondo Marattin la presidente del consiglio degli studenti avrebbe dovuto limitarsi “a chiedere un maggiore investimento nel diritto allo studio; oppure assicurarsi che alla parola meritocrazia, siano sempre associate parole e azioni concrete volte a garantire le pari opportunità di partenza”. Solo in quel caso lui sarebbe “scattato in piedi ad applaudire”.

Ma Alessandra De Fazio, di fronte al Capo dello Stato, ha fatto molto di più. Ha messo a nudo la debolezza del sistema di tutela degli studenti e la volontà statale di catalogare lei e i suoi colleghi prima come matricole che come esseri umani.

Alessandra De Fazio non ha parlato solo di diritto allo studio, di merito e di gestione neoliberale dell’azienda universitaria. Ha parlato anche di sentimenti. Niente roba da libro Cuore. Quelli usciti dalla sua testimonianza sono i sentimenti che prova chi è dalla parte sbagliata della cattedra e sa di non avere le stesse possibilità di molti dei suoi compagni di studi.

Ha parlato di povertà. Ha parlato di impossibilità a preparare adeguatamente un esame perché c’è una clessidra che sgrana troppo velocemente i granelli dei tempi di didattica e verifica.

Nulla nel suo intervento riconduce alla semplificazione marattiniana di “un mondo in cui ci sono solo diritti e nessun dovere”.

Da Fazio parla di fatica, sudore, lacrime, vergogna. “Sono un fallimento, non merito di vivere”. “Accedere alla cultura non può essere un privilegio”. “Ho barattato la mia salute mentale per terminare in tempo gli studi”. Non è un caso allora se negli ultimi tre anni si contano venti suicidi tra gli studenti universitari. Queste sono frasi che vengono da studenti che fanno di tutto per essere capaci e meritevoli come chiede Marattin e come, ha ragione il deputato, richiede l’articolo 34 della Costituzione.

Ma il deputato dimentica un altro articolo della nostra Carta. Ben più importante. L’articolo 3, figlio di secoli, se non millenni, di lotta ai soprusi. Il suo secondo comma impone che la Repubblica rimuova “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E quegli ostacoli che la Repubblica non ha rimosso sembrano esser passati inosservati a chi martedì non ha voluto applaudire. Quegli ostacoli si chiamano aumento dei prezzi degli affitti del 34% in un anno. Si chiamano mancanza di un piano di edilizia pubblica. Si chiamano trasporto pubblico inefficiente e costoso. Si chiamano rinuncia a un doppio domicilio sanitario. Si chiamano rinuncia alla possibilità di esercitare il diritto di voto.

Piccola parentesi sul diritto di voto: le forze dell’ordine hanno giustamente una deroga per votare nella città in cui stanno svolgendo il servizio. Quando ancora esisteva il servizio obbligatorio di leva, i cittadini che dovevano effettuare le visite dei famosi tre giorni ricevevano il biglietto di andata e ritorno per raggiungere la caserma di riferimento. Lo Stato non fa altrettanto per consentire agli universitari di esprimere il proprio voto.

Se non sono sufficienti le parole di De Fazio per capire che la battaglia non è per un mondo di soli diritti e nessun dovere, basta scorrere alcuni rapporti che fotografano il famoso ascensore sociale.

In termini di mobilità sociale il Global Social Mobility Index colloca l’Italia al 34° posto su 82 Paesi nel mondo. All’interno dell’Unione europea il Bel Paese precede solo Romania (44° posto) e Grecia (48°). Secondo l’Ocse in Italia potrebbero essere necessarie almeno 5 generazioni per i bambini nati in famiglie a basso reddito per raggiungere il reddito medio. Sempre l’Ocse rileva che l’istruzione è condizionata dalla situazione “di partenza”. L’Italia si caratterizza come uno dei Paesi a più bassa mobilità educativa in Europa. Soltanto l’8% dei giovani-adulti con genitori che non hanno completato la scuola secondaria superiore ottiene un diploma universitario (la media Ocse è del 22%).

Nel suo rapporto del 2020 l’Istat rilevava come la classe sociale di origine “influisce ancora in misura rilevante sulle opportunità degli individui”. E a proposito di merito indicava come “a parità di ogni altra caratteristica individuale, le origini sociali esercitano rilevanti condizionamenti sulle chances di arrivare o permanere in posizioni socialmente vantaggiose, così come sui rischi di scendere o restare intrappolati in collocazioni socialmente meno favorevoli”.

Cosa ci dice tutto questo? Che il figlio di un operaio ha minori possibilità di laurearsi e laurearsi bene rispetto al figlio di un professionista. Non serve aggiungere altro. Non serve applaudire. C’è solo da piangere. Lo Stato ha fallito. L’università italiana ha fallito.

La rappresentante degli studenti chiudeva il suo intervento rinnegando, per la sua generazione, la definizione di “cittadini del domani”: “una scusa per procrastinare gli errori che voi, cittadini di ieri, avete fatto e le cui conseguenze le stiamo pagando noi cittadini di oggi”.

La storia si ripete e dall’inizio della Repubblica lo Stato non ha ancora adempiuto a uno dei suoi compiti principali: avere cittadini uguali tra di loro. Che significa dare a tutti le stesse possibilità.

E Marattin, come altri cittadini di ieri, mi ricorda il pubblico dell’”Anima buona del Sezuan” di Brecht, al quale la prostituta Shen Te, proteggendo un bambino, rivolge la sua preghiera: “uno di domani vi chiede un oggi”.

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