Cronaca
19 Febbraio 2023
Andò in Germania per lavorare in fabbrica, poi la scoperta di Sgarbi e la popolarità: "Presto una mostra con le sue opere a Casa Minerbi, poi identificheremo uno spazio museale"

Morto il pittore Adelchi Riccardo Mantovani

di Redazione | 6 min

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È scomparso in queste ore all’età di 77 anni l’artista Adelchi Riccardo Mantovani, il pittore ferrarese emigrato a Berlino ma sempre ispirato dal sogno di Ferrara.

Adelchi Mantovani aveva firmato, al Castello estense, una mostra – allestita da Comune e Fondazione Ferrara Arte dal 5 marzo al 9 ottobre 2022 – prima di portare il suo ‘sogno di Ferrara’ al Mart di Rovereto, sempre per iniziativa di Vittorio Sgarbi.

Fu proprio Sgarbi – che lo definì un “Raffaello rispetto a Ligabue” – a fare da volano alla sua carriera. Il critico d’arte – suo concittadino – lo scoprì in Germania e gli fece organizzare la sua prima mostra a Berlino.

Nato a Ro Ferrarese nel 1942, figlio della bidella della scuola elementare, rimase orfano del padre e fu affidato alle suore dell’orfanotrofio di Ferrara dal ’46 al ’52 e poi mandato in collegio, sempre presso le suore, a seguire i corsi professionali per imparare il mestiere di tornitore.

“Da ragazzo non ho mai pensato di diventare artista di professione, il mio sogno era di fare il calciatore”, raccontava a suo tempo Adelchi Riccardo Mantovani. Dopo un periodo di lavoro a Ferrara, nel 1964 si trasferisce in Germania e dal ’66 è a Berlino, dove entra in fabbrica rimanendovi ininterrottamente fino al 1979. Il clima culturale di Berlino lo aiuta a riscoprire l’attitudine al disegno che si era manifestata ai tempi del collegio.

“Quando ero dalle suore, mi procuravo le matite – raccontava l’artista anni fa -, strappavo le due pagine interne dai quaderni di scuola e facevo dei quadernini piccoli che riempivo tutti di disegni. Questo è stato il mio inizio”.

Nella metropoli tedesca Adelchi Mantovani frequenta le scuole serali di pittura, i corsi di nudo, conosce gli artisti e perfeziona la sua già straordinaria tecnica nata dai disegni sui quaderni strappati alle suore.

Nel 1979, dopo vent’anni di fabbrica, smette i panni dell’operaio per indossare quelli di pittore. La sua fortuna fu un articolo di Sgarbi su L’Europeo che incuriosisce un collezionista miliardario, Orazio Bagnasco, il quale acquista tutta la sua produzione iniziale, una quarantina di quadri, perché Adelchi non era un autore prolifico.

La sua immaginazione prediligeva i tempi lunghi, ha bisogno di sedimentare, di depositarsi sul fondo dei ricordi, di definire bene i contorni di una pittura che nasce in stretto rapporto col paesaggio d’infanzia, fatto di argini, di ponti di barche, di binari dei treni nella pianura, del mito di Fetonte che cade nel Po e lo contorna di pioppi.

Lo ricorda il sindaco Alan Fabbri, esprimendo a nome di tutta l’amministrazione “le più sentite condoglianze ai familiari”: “La notizia della morte di Adelchi Riccardo Mantovani mi rattrista fortemente – dice il primo cittadino -. Lo avevo conosciuto tramite le sue opere, da cui traspare con evidenza l’amore per la sua terra, per la campagna ferrarese, per gli scenari fluviali interpretati e reinterpretati con quegli occhi di bambino che hanno marcato come tratto distintivo tutto il suo percorso artistico. Ha dato immagine e consistenza al suo sogno ferrarese, contemplato dalla Germania, dove era emigrato. La sua bambina seduta sulla pietra con le indicazioni della distanza da Ferrara, avvolta in un cappotto rosso, rimarrà una delle immagini più iconiche e più rappresentative dell’attrazione infinita che la nostra terra esprime in chi l’ha vissuta e in chi l’ha conosciuta”.

A ricordare “l’uomo e l’artista” è anche l’assessore Marco Gulinelli: “La sua storia mi ha legato a lui come a un fratello. Lo stupore dei suoi occhi di bambino, attraverso i quali componeva le sue tele, rimane una delle immagini più affettuose e affascinanti di questi anni da assessore e di tante mostre realizzate. Ciao Adelchi, grazie per averci consegnato la testimonianza di un amore per i luoghi e per la nostra terra capace di superare anche la morte”.

“Non ha mai dimenticato la sua Ferrara e l’ha portata nella sua costante ricerca artistica dando vita a quel racconto del fantastico tipico della tradizione ferrarese”. Così l’assessore regionale alla Cultura, Mauro Felicori, ha ricordato il pittore e disegnatore Adelchi Riccardo Mantovani, scomparso oggi all’età di 81 anni. Ferrarese di nascita, Mantovani si era trasferito a Berlino nel 1964 dove prima lavora in fabbrica e poi si dedica alla pittura a partire dalla fine degli anni Settanta. “Le sue opere – ha aggiunto Felicori – raccontano un mondo onirico e fiabesco che affondano le radici nella pittura ferrarese del Quattrocento”. Lo scorso anno il Castello Estense aveva ospitato per la prima volta in Italia ‘Il sogno di Ferrara’, una mostra antologica poi allestita al Mart di Rovereto fino a pochi giorni fa.

Su Adelchi Riccardo Mantovani non poteva mancare il ricordo di Vittorio Sgarbi, presidente della Fondazione Ferrara Arte, che annuncia una prossima esposizione a Ferrara delle sue opere a Casa Minerbi. “Con la sua scomparsa – dice Sgarbi – la città di Ferrara erediterà una cinquantina di opere di Mantovani, che l’artista ha voluto donare in segno di riconoscenza, una volta terminata l’esposizione al Mart. Ho infatti ricevuto da lui indicazioni affinché tutte le sue opere, che non siano proprietà di privati, vengano esposte a Ferrara. Per Adelchi sono un segnale di riconoscenza e di gratitudine, per la ‘corrispondenza di amorosi sensi’ ottenuta con la mostra nella propria terra d’origine. Nelle prossime settimane verranno allestite in Casa Minerbi. Successivamente identificheremo uno spazio museale. Perfetta – conclude Sgarbi – sarebbe una sala a lui dedicata a Palazzo Massari”.

 “Abbiamo fatto conoscere a Ferrara – e poi a Rovereto – il mondo di un grande artista ferrarese, un grande sognatore – ricorda ancora Sgarbi – l’ultimo maestro del Rinascimento, erede di Francesco del Cossa e di Ercole de’ Roberti, e pittore non della Storia, ma della propria avventura umana. La sua pittura quasi fiamminga, il ritorno all’infanzia, il suo mondo animato da suore e preti, sono un amarcord formidabile di un migrante italiano che arriva in Germania e lì trova rifugio”. “A Ferrara egli era nato. Anzi a Ro, un piccolo paese sul Po: per coincidenza della sorte lo stesso luogo nel quale per almeno un decennio siamo inconsapevolmente convissuti – continua Sgarbi – Nel 1964, a 22 anni, non ancora pittore, ma semplicemente operaio, Adelchi si trasferì a Berlino, interrompendo ogni rapporto, che non fosse turistico, con la patria. Ma, come ogni vero emigrato, ha portato con sé tutto il suo mondo – ricorda Sgarbi -. E quando, con i tempi e i modi di cui egli stesso ci ha raccontato, ha cominciato a dipingere, via via sempre più perfezionandosi, Ferrara e Ro sono completamente riemerse. Così non sappiamo se Adelchi fosse un pittore italiano a Berlino o un pittore tedesco che, come un nuovo Nazareno, fosse perdutamente innamorato dell’Italia e quella solo dipingesse. Continuando a stare chiuso nella sua solitudine, da Berlino gli era consentito sognare Ferrara. Lì elaborò una capacità pittorica – senza scuola, fatta di ostinazione e rigore – per salvare il suo sogno di bambino. Adelchi ha messo insieme la memoria e il presente creando uno stile assolutamente originale, a cavallo tra la metafisica e il surrealismo”. 
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