È arrivata prima degli altri e si è seduta su quello che fino a giugno era il suo posto in mezzo ai banchi della maggioranza. E che ora, in forza di una sentenza del Consiglio di Stato, è tornato ad essere suo.
Rossella Arquà era la protagonista attesa alla seduta del consiglio comunale, ‘congelato’ dalla giunta di Alan Fabbri per quasi due mesi in attesa di capire come dare seguito alla giustizia amministrativa.
È tornata a sedersi tra gli scranni della Lega, ma attorno a lei c’era il vuoto. I membri della maggioranza avevano annunciato in mattinata che non si sarebbero presentati. E così è stato: si sono collegati da remoto, ma dalla sala del gruppo consiliare in municipio, pochi metri più in la di quella del consiglio comunale.
Lo dirà in seguito la forzista Diletta D’Andrea il motivo: si sentivano in pericolo.
E, in effetti, a rendere ancora più atipica la seduta è stato il corposo servizio d’ordine che ha seguito i lavori: tra Carabinieri, Polizia di Stato e Polizia locale si contava una quindicina di agenti.
E lei, la protagonista, è stata una protagonista mancata. Un attimo di debolezza prima dell’apertura del consiglio, quando si è tolta gli occhiali e si è asciugata le lacrime, cedendo probabilmente alla tensione. E poi si è trincerata dietro una maschera beffarda per rispondere a gesti alle dichiarazioni del vicesindaco e del sindaco che la chiamavano in causa.
Scuoteva la testa quando si parlava di sue nuove eventuali dimissioni e sghignazzava quando la si indicava (sintesi nostra) come pericolo pubblico numero uno.
Alla fine, come prevedibile, lei non ha parlato. Come non ha mai parlato e non è mai intervenuta in questi tre anni di legislatura.
Lei d’altronde era l’organizzatrice, il ‘mastino’ che sapeva portare pullman di gente verso le feste della Lega, era quella alla quale lo stesso vicesindaco Nicola Naomo Lodi affidava il lavoro ‘sporco’ (nel senso di militanza partitica), tanto da promuoverla a responsabile provinciale del tesseramento del Carroccio e una dei pochi ad avere le chiavi della sede del partito.
Questo fino al 10 giugno 2022, quando la Digos, durante una perquisizione in casa sua, trova materiale che conduce ad alcune delle lettere minatorie ricevute nei mesi precedenti da Lodi. Alcune, ma non tutte, come chiarirà anche la procura.
Lei infatti ha confessato per la parte che la riguarda. Là fuori, quindi, c’è ancora a piede libero la mano che ha scritto e spedito le altre. Una mano ancora più preoccupante, visto che sarebbe quella che ha messo nelle buste anche i proiettili.
Ma lei tace. Probabilmente attende il processo che la vedrà coinvolta per minacce aggravate e simulazione di reato. Solo allora, forse, si potrà sapere di più. Per ora ci si deve accontentare di una consigliera reintegrata nel suo ruolo che fino ad oggi non ha prodotto alcuna interpellanza, interrogazione o question time. Come molti altri tra i banchi della maggioranza.
In attesa che la giustizia penale faccia il suo corso, ieri in nessun intervento si è fatto cenno alla seconda mano, quella più pericolosa. Nemmeno in quello del vicesindaco, parte offesa nella vicenda. E di questo c’è da essere preoccupati.
Per ora dobbiamo tenerci il pianto e il ghigno di Rossella Arquà. Ricordandoci quel che scriveva Nietzsche: “Si mente, sì, con la bocca, ma con il ghigno che si fa in quel momento si dice pur sempre la verità”.
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