M’Hamed Chamekh e Atika Gharib
La Corte di Appello di Bologna ha confermato lunedì, nel suo giudizio di secondo grado, la condanna all’ergastolo imposta precedentemente dalla Corte d’Assise di M’hamed Chamekh, condannato per aver ucciso, il 2 settembre del 2019, la sua compagna Atika Gharib e di averne poi bruciato il corpo in un casolare a Castello D’Argile, nel bolognese.
La donna, di nazionalità marocchina che viveva a Ferrara insieme con la figlia e Chamekh – suo compagno dello stesso Paese – fu strangolata da quello che ormai era il suo ex compagno proprio perché aveva deciso di lasciarlo. Il corpo fu ritrovato dagli inquirenti circa due giorni dopo l’omicidio, mentre Chamekh stava tentando di ripararsi in Francia viaggiando a bordo di un treno sul quale è stato arrestato.
Confermate a Chamekh dalla Corte d’Appello anche le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, oltre che i risarcimenti alle parti civiili, che includono i familiari della vittima e l’Udi, l’unione delle donne italiane. Davanti al giudice Orazio Pescatore, Chamekh ha rilasciato prima della lettura della sentenza alcune dichiarazioni spontanee nel quale si è detto pentito del gesto.
La condanna all’ergastolo arriva a quasi un anno dopo quella in primo grado emessa dal tribunale di Ferrara a 2 anni e 10 mesi per molestie sessuali commesse nei confronti della figlia di Atika Gharib. Un mese prima dell’omicidio di Gharib, Chamekh si rese protagonista nei confronti della ragazza, ai tempi adolescente, e l’episodio aveva convinto la donna a porre fine alla relazione.
L’avvocato di Chamekh invece annuncia il ricorso in Cassazione per tentare di far ricelebrare il processo di secondo grado in quanto, a suo avviso, non sarebbero state prese in seria considerazione dai giudici la patologia psichiatrica di Chamekh – confermata dalla perizia ma che secondo gli esperti non avrebbe influito nella commissione dell’omicidio – e non sussisterebbe l’ipotesi della premeditazione del gesto.
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