Lettere al Direttore
2 Novembre 2022

Di chi sono le Valli di Comacchio?

di Redazione | 5 min

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La domanda a prima vista potrebbe sembrare retorica e capziosa, ma da una attenta disamina tra le pieghe degli accadimenti storici che hanno costituito il plurisecolare travaglio della comunità comacchiese, impegnata nella rivendica dei propri diritti, non risulta affatto scontata ed ancora per certi versi avvolta nelle nebbie dell’ambiguità.

Il Comune di Comacchio da tempo signoreggia sul comparto valli disponendo a piacere delle sue sorti, perlopiù alla ricerca di formule gestionali che ne garantiscano almeno la manutenzione ambientale, senza tuttavia riuscirci, nonostante
l’abbondante profusione di risorse pubbliche destinate allo scopo; quasi a perpetuare la convinzione che le valli più che una risorsa costituiscano una scellerata incombenza, traendo da esse nel corso dei secoli più amarezze che ricchezze.

Sono i cosiddetti “diplomi federiciani” del XII e XIII secolo che danno la stura al dibattito sul riconoscimento di proprietates et jura (proprietà e diritti) nei confronti dei nostri piscatores comaclenses; molto probabilmente dapprima non se ne era ravvisata la necessità, data la vastità della laguna e le ingenti potenzialità della stessa in rapporto agli insediamenti umani ivi presenti. Tuttavia, a seguire, tali riconoscimenti non costituirono ostacolo alla avidità di Polentani ed Estensi, alla brama di papa Clemente VIII e successori, nonostante la “magnanimità” del medesimo papa nel concedere, al momento della presa di possesso del comacchiese (1598), alcuni specchi vallivi per attenuare le gravi condizioni di indigenza in cui versava gran parte della locale comunità. E neppure la breve parentesi di dominazione imperiale (1708-1725) riuscì ad incidere significativamente sulla questione Valli di Comacchio.

Il nodo centrale del problema, cioè la proprietà del bene, fu affrontato e “risolto” con l’avvento in Italia di Napoleone Bonaparte allorquando, sul finire del secolo XVIII, sottratte le Valli di Comacchio allo Stato della Chiesa per diritto di conquista, l’allora generale in capo dell’Armèe d’Italie acconsentì la vendita, sotto l’indomito impulso dei “procuratori” comacchiesi Antonio Bonafede e Guido Manfrini, alla Città e Popolo di Comacchio di tutte, e singole le Valli, e Pesche di Comacchio, e sue adiacenze, niente eccettuato,….. La formula che connota l’atto di compravendita “cede, rilascia, ritorna, vende, e da liberamente”, rogato in Milano dal notaio Giovanni Battista Giletti il 23 di messidoro anno V della Repubblica Francese, ovvero martedì 11 luglio 1797, per il corrispettivo di un milione di lire tornesi (190.000 scudi romani) e un canone annuo di lire 20.000 della stessa moneta, affrancabile con lire 400.000 (75.000 scudi romani), sottoscritto con firma autografa del Bonaparte, sembra costituire l’espressione unitaria di un faticoso accordo che doveva assolvere alle necessità finanziarie dell’Armèe e nel contempo alle storiche rivendicazioni dei comacchiesi.

L’avvenimento sconvolse l’ordine costituito da secoli di sudditanza, tanto che la popolazione tutta, accampando la proprietà del bene in virtù del rogito Giletti, pretese la distribuzione degli utili derivanti dalle Valli in forma pro capite. Nonostante il considerevole risultato raggiunto, questo non rappresentò la soluzione dei problemi dei comacchiesi, evidenziando ancora una volta l’incapacità degli stessi di strutturarsi socialmente al fine di pervenire ad una gestione delle Valli da cui tutti potessero trarre equo giovamento. Nel volgere di alcuni decenni, la situazione gestionale del
comparto vallivo degenerò a tal punto che si ritenne opportuno supplicarne la presa in carico da parte dello Stato Pontificio.

L’allora papa Leone XII, il primo di febbraio del 1827, ordinò alla Camera Apostolica di assumerne la gestione in forma provvisoria. Tale “provvisorietà” durò ben 33 anni, con risultanze produttive pessime durante l’intero periodo; in questo frangente si è ipotizzato che con questa assunzione il papa avesse riacquisito la proprietà delle Valli, sostenendo nel contempo la nullità della compravendita napoleonica, anche se le varie congregazioni cardinalizie nominate in proposito nel corso della gestione camerale non giunsero a risultati in tal senso e pertanto il rogito Giletti mantenne tutta la sua legittima validità. Infatti, anche in seguito, con l’annessione delle Romagne pontificie al demanio nazionale del costituendo Regno d’Italia (1860), cessò il possesso papale delle Valli che fu trasferito, unitamente alla gestione, al nuovo Stato nazionale italiano che, nel volgere di qualche anno, constatato il pesante, continuo ed irreparabile deficit economico generato dalla gestione delle medesime, ne approvò con legge del 7 luglio 1868 la convenzione tra Stato e Comune di Comacchio per il loro ritorno al Comune in virtù dell’istromento Giletti.

Dopo tale ritorno le Valli sono rimaste in capo al Comune sino ai giorni nostri, subendo nel frattempo le conseguenze della sentenza di dichiarazione di acque pubbliche della valle Mezzano (18.000 ha), che ha visto il Comune soccombente nella causa di opposizione
(1954) in cui non bastò tra l’altro l’esibizione dell’atto di compravendita, nonché l’affermarsi dell’euforia delle bonifiche, con l’agrarizzazione delle valli drenate, che a più riprese nel volgere di un secolo ridussero a circa un quinto l’originaria superfice acquea. Tra questi innumerevoli travagli e passaggi di mano delle Valli di Comacchio supportati da diritti di proprietà, possesso, usurpazioni, incameramenti, donazioni, gestioni dirette e in appalto dalle variegate caratteristiche, il punto fermo rimane l’acquisto del bene (1797) in favore della Città e Popolo di Comacchio il cui valore, al di là della portata giuridica, è stato nel tempo ritenuto il simbolo incontrastato di riscatto di un’intera comunità, ponendo in evidenza non la mera compravendita di un bene ma l’esistenza di un vincolo di appartenenza tra la Comunità e le Valli, quest’ultime deputate al sostentamento della stessa.

Tuttavia, correndo le attuali temperie, sembra essersi capovolta la funzione dei ruoli, se un tempo le Valli costituivano elemento di sussistenza della comunità, oggi sono le Valli che hanno bisogno di sussistenza dalla comunità. Non si può ulteriormente indulgere nell’abbandono in cui versano,
svilite della funzione nei secoli affermatasi (la vallicoltura) e ridotte a far bella mostra di sé in un crescente degrado; a nulla sono servite soluzioni ardite di rilancio, ricerche e studi, approfondimenti scientifici o il ricorso a deteriori esperimenti di parcellizzazione del bene da assegnare ad
improbabili gestioni. Le residue Valli di Comacchio rappresentano un unicum dal quale non si può prescindere, nell’ottica di qualsivoglia gestione; è la Vallicoltura 2.0 la priorità alla quale demandare il compito di coniugare il recupero della funzionalità che gli è propria con le attitudini
naturalistiche, turistiche, venatorie, paesaggistiche e culturali di cui le Valli sono portatrici.

È tempo che la comunità si riappropri idealmente del bene e faccia sentire la propria volontà di indirizzo presso le istituzioni deputate, le quali devono ricordare che la proprietà del medesimo bene è della Città e Popolo di Comacchio e che, pertanto, è necessario consultare, nelle forme
ritenute più idonee, in merito a destinazioni d’uso funzionali alla sua conservazione e fruizione al passo con i tempi: nonostante tutto siamo ancora i “nostri piscatores comaclenses”.

*storico

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