Cronaca
27 Ottobre 2022
Davanti alla Corte d'Assise la testimone depone a favore della ipotesi di un movente economico per il delitto

Omicidio Sturaro. La sorella di Stefano Franzolin: “Disse che si era anche difesa. Io trasalii”

di Marco Zavagli | 5 min

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“Si è anche difesa”. È la frase che fa crollare il mondo addosso a Sonia Franzolin. A dirgliela, dopo aver soffocato nel sonno la madre, Alberta Paola Sturaro, è suo fratello Stefano.

Quella mattina del 22 marzo Sonia – era stata svegliata dall’altro fratello, Alessandro (entrambi oggi parti civili assistiti dall’avvocato Pier Guido Soprani). “Erano le 8.15 circa. Bussò alla porta e mi disse che Stefano aveva ucciso la mamma”. Sonia corre in camera della madre.

“Lei era distesa sul letto, perfettamente ricomposta. Le ho accarezzato la mano e l’ho abbracciata. La stanza era perfetta. Era tutto in ordine. Ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di strano. Si poteva pensare che fosse morta di morte naturale”.

La donna scende quindi in cucina, dove trova Stefano. Stava cercando dei documenti all’interno di una cartellina. Si trattava dei due assegni circolari non trasferibili che la vittima aveva intestato a sé, dell’importo di 70 e 40mila euro. Il primo datato 2019 e il secondo 2020. Dovevano servire nell’ambito del divorzio tra i genitori.

“Mi chiese dove fossero. Poi disse «si è anche difesa». A quelle parole trasalii. Ho avuto un mancamento e sono uscita dalla stanza”.

Dopo quella ‘confessione’ Sonia si chiude in camera. Nessuno chiama polizia o carabinieri. Nemmeno il 118. “Ero completamente frastornata. Ero come un automa e ho fatto le stesse cose di tutte le mattine. Ho fatto la doccia, mi sono vestita…”.

Quando esce dalla camera incontra il fratello Alessandro. “Mi dice che Stefano ha cercato di colpirlo in testa con una pentola”.

La sorella spiega che erano giorni che il fratello era sconvolto da una frase che gli aveva detto la madre: «sei peggio di tuo padre». Un paragone che per l’uomo, che ha sofferto la separazione dei genitori e i loro contrasti ed è sempre stato molto legato alla madre, era sembrato un’offesa irrimediabile. Questo almeno nella ricostruzione della sorella.

Poi altri dettagli che fanno puntare il dito contro l’imputato. “Era da un anno che a mia madre non arrivavano gli estratti conto. Ma lei all’inizio non si era neanche preoccupata”. Pochi giorni prima di morire disse anche alla figlia che “avrebbe nascosto carta di identità e bancomat”.

La pm Ombretta Volta fa notare che nelle dichiarazioni rese il giorno dell’omicidio lei disse che aveva trovato Stefano che piangeva e diceva che voleva suicidarsi.

“Questo dopo – corregge oggi la donna -; dopo si era messo a piangere di un pianto tra l’isterico e il semi-costruito. Dopo pochissimo si è ricomposto. Ha detto di chiamare l’avvocato di famiglia, Bova. Ha detto che non voleva andare in prigione o all’ospedale psichiatrico”. Laura si fa ancora più chiara: “io non ho mai creduto al suicidio.

E mentre Stefano minacciava di uccidersi “mio fratello cerca di assecondarlo e lui si mette a scrivere un biglietto. A quel punto suona il campanello (era l’avvocato Alberto Bova che, prima di arrivare, aveva già informato le forze dell’ordine, ndr). Stefano chiede chi abbia chiamato i carabinieri e si chiude in bagno”.

Un mese dopo l’omicidio, in aprile, aprile Sonia chiede di essere sentita dalla pm. “Qualche giorno dopo la morte di mia madre arrivò un altro Rav/Mav. Ero andata in banca e mi ero fatta consegnare la lista dei prelievi. C’erano tante cose che non tornavano, come alcuni prelievi in cassa veloce. Pensai li avesse fatti Stefano perché mia mamma segnava tutto”.

Viene poi un altro documento che i fratelli scoprono in seguito: una procura notarile. “Stefano insisteva per avere una procura per gestire il denaro di mia madre” ma che esistesse già la procura “me lo ha tenuto nascosto”.

A quel punto nella testa di Sonia si fa largo l’ipotesi che dietro al delitto ci fosse un movente economico: “se fosse stato un raptus, come scriveva la stampa, avrei sentito i rumori del litigio. Tra camera mia e quella di mia mamma ci sono appena 16 passi”.

Da un po’ di tempo, inoltre, Sonia si chiudeva a chiave nella sua camera da letto. “Avevo avuto alcuni litigi con Stefano e lui continuava a dirmi «ti spacco la testa» oppure «ti metto sottoterra».

Poi c’era la stanza dei misteri. “Mio padre aveva uno studio e da quando se n’era andato quella stanza rimaneva sempre chiusa. Solo Stefano aveva le chiavi”. E proprio in quella stanza Sonia sostiene di aver trovato la documentazione sparita: estratti conto, prelievi, la carta di identità e il bancomat della madre, un contratto di locazione e i documenti di acquisto di un’auto. “Mi venne un colpo” afferma davanti alla Corte d’Assise.

Laura, di professione gemmologa, era tornata a vivere nella casa della madre nel 2020 dopo un peregrinare professionale tra Milano, Cortina e Capri. In quegli anni “sentivo mia madre quasi quotidianamente”. E dopo il suo rientro “mia mamma si era molto riavvicinata a me e questo sicuramente ha scatenato delle gelosie. Lui ha sempre cercato di controllarla e di isolarla, anche dalle sue amiche”.

Alla madre lei e l’altro fratello, Alessandro, avrebbero consigliato più volte di farlo seguire a livello psicologico, “ma lui non ha mai voluto”.

L’esame si concentra poi sulla figura del padre, Adriano, e dei suoi rapporti con i familiari. “Con Stefano ed Alessandro non si parlavano da anni. Stefano ha sempre colpevolizzato la mamma per la separazione. Nostro padre ci ha fatto tantissime denunce, cadute nel vuoto. Parlava solo con me se capitava di incontrarci per strada. Fui io a chiamarlo il giorno dell’omicidio”.

Tocca alla difesa svolgere il controesame e l’avvocato Bova sottolinea le incongruenze tra le dichiarazioni riferite agli inquirenti e quelle successive. “Ai carabinieri non parla degli assegni, che comunque erano carta straccia perché incassabili solo da sua madre; non riferisce degli estratti conto mancanti…”.

E fa notare che quando la madre venne ricoverata per un intervento chirurgico “ad assisterla c’era Stefano”. La difesa si concentra anche sul fatto che la procura notarile prevedeva una capacità di spesa fino ai 5mila euro per tutti e tre i fratelli, che arrivava a 10mila per il solo Stefano. “Mi sembra di capire che la madre si fidasse soprattutto di lui e se non aveva bisogno di ‘aggirare’ la donna…” commenta a margine il legale.

Anche il padre, Adriano Franzolin, ricorda che “l’unico che aiutava la madre a fare la spesa era Stefano”.

Alla prossima udienza, fissata per il 12 gennaio, verrà sentito il consulente della difesa, lo psichiatra Renato Ariatti e potrebbe essere sentito anche l’imputato.

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