di Romeo Farinella*
Non era mia intenzione ritornare sul progetto Fè.Ris di cui, sicuramente, se ne riparlerà dopo l’estate ma l’uscita del Rapporto Ispra 2022 sul “Consumo di suolo” in Italia, avvenuta il 26 luglio, credo meriti un commento anche alla luce delle nostre vicende locali. Ispra è l’Istituto superiore per la ricerca e protezione ambientale del MiTE (Ministero della Transizione Ecologica) istituito nel 2008 e che ogni anno ci aggiorna su tanti aspetti riguardanti l’ambiente del nostro paese e tra questi anche sul consumo di suolo. Si tratta di un lavoro importante che tutti i ricercatori e studiosi di ambiente, urbanistica, scienze sociali e geografiche aspettano per verificare e implementare le proprie ricerche. Dovrebbe anche essere d’aiuto e orientamento per la definizione delle politiche pubbliche. Tale rapporto è molto articolato, ricco di dati necessari per valutare quanto suolo agricolo o naturale trasformiamo ogni anno in suolo urbanizzato. Il dato non è marginale perché importanti organismi internazionali e nazionali hanno ribadito che una delle strade per contrastare la mutazione climatica è bloccare l’espansione delle urbanizzazioni.
Il quadro che ne esce è sconfortante. Nonostante da decenni si parli di foreste urbane, di transizione ecologica e molti giornali e politici enfatizzino risultati associati ad importanti archistar dal potere taumaturgico (in realtà speculatori), il dato duro e crudo è che nel 2021 in Italia l’artificializzazione del suolo (edifici, infrastrutture, centri commerciali, logistica, ecc.) è aumentata di circa 70 chilometri quadrati, arrivando a ormai 21.500 chilometri quadrati di suolo nazionale urbanizzato, ovvero 19 ettari al giorno, 2,2 metri quadrati al secondo. Nel nostro paese la copertura artificiale del suolo in Italia è al 7,13% mentre la media dell’Unione Europea è del 4,2%.
Solamente di nuovi edifici abbiamo coperto in un anno un territorio grande come la Liguria. Queste nuove urbanizzazioni sono collocate per il 32% nelle aree urbane, per il 40% nelle aree suburbane e produttive e per il 28% nelle aree rurali. Altro che riforestazione urbana, a proposito di retoriche ecologiche. Le regioni più gourmand di suolo artificializzato sono il Veneto, il Friuli Venezia-Giulia, l’Emilia-Romagna e il Piemonte. I valori più bassi li troviamo in Lazio e Campania. La costruzione di nuovi poli logistici, anche in aree a pericolosità idrogeologica elevata, fa la parte del leone con ben 323 ha. nel 2021. Va inoltre segnalato che abbiamo oltre 310 chilometri quadrati di edifici non utilizzati e degradati per una superficie pari all’estensione di Milano e Napoli le cui aree si potrebbero recuperare, invece di usare aree rurali e non costruite.
Il dato diviene drammatico se lo proiettiamo sul lungo periodo perché dal 2006 al 2021 l’Italia ha perso 1153 chilometri quadrati di suolo naturale o seminaturale a causa, come sostiene Ispra, dell’espansione urbana e delle trasformazioni collaterali che ovviamente rendono il suolo impermeabile, facilitando gli allagamenti in caso di eventi meteorici estremi, rafforzano le ondate di calore e, non da ultimo, determinando la perdita di aree verdi, di biodiversità e di servizi ecosistemici. Per le valutazioni dei numeri si consiglia la lettura del rapporto ma tutte le città emiliane sono in “crescita di consumo”.
Se immaginiamo la città come un corpo che ha iniziato a vivere (tanti secoli fa) comportandosi come un organismo sano, plasmato da fisiologici processi vitali associati all’ accrescimento, oggi questo corpo è pieno di metastasi. Dobbiamo trovare una cura (la rigenerazione urbana ed ecologica?) ma prima dobbiamo bloccare queste metastasi che si chiamano consumo di suolo, bloccandole o addirittura togliendole. In Italia è maturo il tempo per avviare un grande progetto strategico di “decostruzione” per liberare suolo, risanare le coste, far respirare i nostri fiumi e torrenti. Questo significa “transizione ecologica”, ma nei luoghi che contano ovviamente non se ne parla.
Dalla stampa leggo che nell’aprile del 2022 in Consiglio comunale di Ferrara la maggioranza ha deliberato il recepimento della proposta del Forum Salviamo il Paesaggio, con l’obiettivo di dimostrare concretamente l’attenzione nei confronti del suolo arrestando il consumo e incentivando il recupero e riuso dell’esistente.
Ma il Progetto Fè.Ris, asfaltando aree di interesse patrimoniale o costruendo inutili ipermercati in zone rurali, mi pare evidenzi un’altra idea di città e di sviluppo, ed un costume molto italiano: con una mano si firma una convenzione con l’altra si avviano operazioni che sconfessano quanto firmato prima. Chissà quali strategie e azioni proporranno i progettisti del futuro Pug per affrontare questo tema strutturale per il futuro dei nostri ambienti di vita? E chissà se l’amministrazione ce ne parlerà in un una seduta pubblica? Ultima considerazione anche il concerto di Bruce Springsteen è consumo di suolo, temporaneo ma non meno dannoso, ma in questo caso saremmo ancora in tempo per orientarci su aree strutturate per eventi di questo tipo, dando il buon esempio dopo aver letto il rapporto di Ispra.
*professore di Urbanistica del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, dove dirige il CITERlab, un laboratorio di ricerca che opera nel campo della progettazione urbana e territoriale
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