Caro direttore,
ricordo che una delle prime funzionarie di polizia giunte a Ferrara dichiarò che,fra le iniziali difficoltà incontrate, vi era la mancanza, in Questura, di una toilette riservata alle donne.
Il questore – disse – le consegnò gentilmente la chiave del suo bagno personale, ma la funzionaria, per comprensibili ragioni di imbarazzo, evitò di utilizzarlo preferendo recarsi in un vicino bar.
Susanna Agnelli,del pari, ricordò in un’ intervista la lotta di deputate e senatrici per avere bagni riservati alle donne a Montecitorio e a Palazzo Madama.
E anche nelle Forze Armate, una delle richieste delle prime arruolate fu quella di avere bagni (e locali per le docce) separati da quelli utilizzati dai colleghi maschi.
Insomma, fino a poco tempo fa avere bagni riservati alle donne veniva considerato un atto di civiltà e di progresso, anche per evitare situazioni imbarazzanti o fenomeni di voyerismo ( o di…curiosità uditive) tutt’altro che gradevoli e non infrequenti.
Ora invece pare che la separazione dei bagni cosituisca una forma di discriminazione o una “violenza di genere”.
Leggo infatti che, all’Università di Pisa ha avuto inizio una rivoluzione epocale in quanto sono stati inaugurati in pompa magna 86 bagni “genderless” (https://www.adnkronos.com/
“”Le rivoluzioni culturali iniziano, molto spesso, con un piccolo gesto. Un segno che cambia il corso degli eventi. La targhetta che da oggi compare su circa un centinaio dei bagni del nostro Ateneo rientra in questa categoria” ha dichiarato il rettore Paolo Mancarella .
A parte il fatto che il simbolo utilizzato è stato contestato da una formazione politica locale (“Sinistra Per”) in quanto “le persone non binarie e trans sono state completamente ignorate senza considerare l’effetto discriminatorio che questo può avere”, mi chiedo se, in tempi di pandemia sempre in agguato e con i problemi creati dall’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, sia così importante interessarsi del cambio dei simboli sulle porte di quelli che un tempo venivano chiamati “locali di decenza”, “gabinetti” o “ritirate”, spendendo pure dei soldi per l’operazione. Forse pochi, ma sempre soldi di una Università statale e quindi patrimonio di tutti noi.
In ogni modo, se la battaglia per i bagni “genderless” è così importante e la distinzione fra bagni riservati rispettivamente ad uomini e donne serve a combattere la violenza di genere (!) come è stato pure detto, esorto la nostra Università, l’Azienda Ospedaliera, l’Ausl e il Comune, nonchè tutti gli istituti scolastici ferraresi a provvedere senza indugio, ponendo fine ad una odiosa discriminazione e, magari, bandendo un concorso per trovare simboli che non si prestino ad ulteriori accuse.
Non scherziamo : con i gabinetti aperti a chiunque ci sentiremo tutti più liberi e più uguali.
E un giorno forse qualcuno, come ha già fatto il Magnifico Rettore dell’ateneo pisano, ci ricorderà che certe rivoluzioni partono non dalla presa della Bastiglia o dall’assalto al Palazzo d’Inverno, ma dagli umili gabinetti, resi finalmente più democratici e inclusivi. E potrebbero ispirare anche qualche regista. Altro che “Corazzata Potëmkin”!
Lucia Ferraresi