di Edoardo Righini
Nel primo trimestre di questo anno Netflix ha perso circa 200.000 abbonamenti. A questo si aggiunga che anche i ricavi, cresciuti del 10% a 7,87 miliardi di dollari, sono stati sotto le aspettative.
Di conseguenza anche l’utile è calato a 1,6 miliardi dagli 1,71 miliardi dello stesso periodo del 2021.
Secondo analisti e testate specialistiche, però, potrebbe non essere ancora finita: i clienti persi potrebbero arrivare a 2 milioni, facendo così totalizzare il peggior anno per l’azienda di streaming più famosa del mondo.
La flessione ha avuto un notevole impatto sui mercati, che hanno bruciato in poco tempo quasi il 40% di valore delle azioni.
C’è da dire, per amor di completezza, che finora Netflix ha visto crescere il proprio business in modo praticamente costante da 10 anni a questa parte, con un’ulteriore accelerata in questi due anni di pandemia e conseguente lockdown (della serie, tutti a casa abbiamo guardato almeno una cosa in streaming).
Ciononostante ci si può chiedere a cosa sia dovuto un “crollo” così repentino, visto e considerato che da più parti nei mesi passati si è detto che lo streaming avrebbe sostituito praticamente tutto: cinema, televisione, teatro e chi più ne ha più ne metta.
Un primo motivo potrebbe essere la condivisione delle password: tanti utenti guarderebbero Netflix facendosi prestare l’account.
Un altro motivo è la crescente concorrenza. Obiettivamente Netflix non è più monopolista di mercato. Le piattaforme di streaming disponibili sono aumentate, diversificando proposta e offerte.
Amazon Prime, Disney Plus, HBO Max, Apple TV solo per citarne alcune.
C’è chi ci mette la guerra come fattore e non ha tutti i torti: complessivamente si parla di 700.000 abbonamenti persi dall’inizio del conflitto.
Tutto vero, ma forse c’è qualche ragione aggiuntiva, “più scomoda” che spaventa il colosso delle serie tv.
Molti critici sottolineano che a differenza di altre piattaforme concorrenti, Netflix negli anni ha mostrato di non riuscire a garantire davvero dei prodotti di qualità.
A parte alcuni grandi nomi che fanno vivere di rendita (come Stranger Thing o La Casa di Carta), nuovi contenuti rilevanti sembrano mancare.
Lo stesso vale per i film, spesso meno incisivi del previsto.
Questo perché la necessità di mantenere una quantità elevata di proposte ha impedito di investire in qualità, dando spazio magari a progetti interessanti e ambiziosi, o anche solo in una selezione più attenta delle proposte.
La seconda critica – segno dei tempi – che muovono in molti (Elon Musk per citarne uno) è il politicamente corretto.
In tanti accusano Netflix di aver aderito supinamente all’ideologia woke americana, ipersensibile alle tematiche dell’inclusione, in tutti sensi.
Questo ha portato, sempre secondo i detrattori, a trasformare le trame in occasioni per riaffermare questo inclusive approach che porta a stucchevoli buonismi, dinamiche forzate e prevedibili e soluzioni narrative paradossali – una su tutte, una regina inglese afro-americana in un’utopica corte vittoriana(?).
Troppo buonismo, troppo bisogno di rappresentare ogni categoria sociale, sessuale, politica, etnica, etc etc avrebbe ucciso la creatività e dunque l’attrattività dei prodotti Netflix.
Vero? Falso?
Come solito la verità è la somma inscindibile delle parti.
Forse però a tutto bisogna aggiungere una considerazione. Assodato che Netflix difficilmente morirà da qui a breve (nonostante quanto dicano alcuni), non è che semplicemente essendosi allentata per il momento la morsa del Covid, alle persone vada semplicemente di uscire?
Miracoli della vita analogica.
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