Cronaca
27 Maggio 2022
Racconti contrastanti tra carabiniere verbalizzante e medico. Chiamato a deporre anche il pm di allora Ottavio Abbate. Duro l'avvocato Anselmo: “Sono tante le cose che non si sa spiegare”

Processo Bergamini: il giallo dell’ispezione cadaverica

di Daniele Oppo | 4 min

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Un colpo di scena. Un giallo a tinte fosche in un giallo che tende al nero. Il processo per l’omicidio di Denis Bergamini, che si sta celebrando a Cosenza davanti alla corte d’assise a oltre trent’anni dai fatti, regala novità che sollevano più dubbi di quante risposte forniscono.

Si parla dell’ispezione cadaverica sul corpo del calciatore argentano, deceduto tra il 18 e 19 novembre del 1989, ritrovato sulla statale jonica all’altezza di Roseto Capo Spulico, al tempo si disse suicida dopo essersi gettato sotto un camion, oggi ‘suicidato’ dopo essere stato soffocato. Per la sua morte è imputata Isabella Internò, sua ex compagna.

Un giallo nel giallo, perché le versioni di chi partecipò a quegli atti non concordano, si smentiscono a vicenda, al punto che la presidente dell’assise, la giudice Paola Lucente, ha disposto addirittura la chiamata immediata, per ascoltarlo come testimone, dell’ex pm di Castrovillari Ottavio Abbate, il primo a indagare sulla morte di Bergamini.

Alla sua convocazione si è arrivati dopo che il maresciallo dei carabinieri Antonio Carbone, che all’epoca aveva verbalizzato l’esame cadaverico di Bergamini, e il medico-chirurgo Antonio Raimondi, che risulterebbe dagli atti essere il consulente medico incaricato per l’ispezione (anche se manca la sua firma), hanno fornito versioni contrastanti, al punto da dover essere messi a confronto diretto.

“Il verbale descrive un’accurata osservazione del corpo con verifica di ipostasi tramite digitopressione, rigidità muscolare politraumatismi alle ossa in varie parti del corpo – riporta l’avvocato Fabio Anslemo, che insieme alla collega Alessandra Pisa assiste i familiari di Bergamini, parte civile nel processo -. Il tutto sarebbe stato scritto sotto dettatura del dottor Raimondi che, però, ha negato decisamente di averlo fatto e di aver ricevuto un incarico in tal senso. Il maresciallo Carbone lo smentisce affermando di essere stato presente per tutto l’incombente. Ma tutti e due i testimoni son concordi su un fatto: quell’ispezione si è tradotta in realtà in una fugace osservazione del corpo vestito a due metri di distanza. Le operazioni quindi descritte non sono mai avvenute, in realtà”.

Carbone, in effetti, ha sostenuto che in sua presenza è stato fatto solo un accertamento visivo e il cadavere di Bergamini non è mai stato toccato. Il medico ha sostenuto di essere entrato nella sala in cui c’era il cadavere, di aver notato a vista una depressione nella zona dell’addome, ma ha negato in maniera risoluta di aver dato alcun parere tecnico sulle cause della morte.

A questo punto è toccato ad Abbate, che ha affermato di ricordare di aver disposto il verbale ma non se vi fossero il carabiniere Carbone e il medico Raimondi, che non conosceva e al quale però avrebbe chiesto preventivamente se fosse in grado di eseguire la consulenza. Abbate ha sostenuto che le risposte ai quesiti sono state riferite dal medico presente nella sala mortuaria e ha ribadito la genuinità del verbale ma non ha saputo spiegare perché medico e militare abbiano fornito versioni contrastanti e che, di fatto, smentiscono proprio quanto verbalizzato.

L’ex pm ha anche raccontato che il padre di Denis – per risparmiar uno strazio alla famiglia – e la società del Cosenza Calcio gli chiesero di non fare l’autopsia, che lui non la fece fare nell’immediatezza perché non c’erano dubbi sulla dinamica e sulla causa della morte, ma che la dispose un mese e mezzo dopo, siamo nel gennaio del 1990, dopo aver intuito che sarebbe diventato un caso mediatico. A quel punto il corpo di Bergamini era già tornato ad Argenta, per questo delegò la procura di Ferrara per l’esecuzione dell’autopsia, la quale diede mandato al prof Francesco Maria Avato. Quell’autopsia già poneva tantissimi dubbi alla ricostruzione che voleva Denis morto per l’investimento, ma rimase lettera morta.

All’uscita dell’udienza è molto dura la presa di posizione dell’avvocato Anselmo nei confronti dell’ex procuratore Abbate: “Sono tante le cose che non si sa spiegare: non sa spiegarsi perché il medico che avrebbe fatto quel riconoscimento non lo ha sottoscritto, ha riconosciuto che è un fatto eccentrico; non si sa spiegare perché sia il medico che il suo più fido collaboratore abbiano assolutamente negato qualsiasi attività compiuta sul cadavere, che abbiano detto che il corpo era vestito, non spogliato; non si sa spiegare perché vengono documentate lesioni, viceversa negate e smentite da tutti i medici legali, dicendo che si è trattato di grave errore. Ha ammesso di essere arrivato all’incombente già conoscendo la versione di quelli che lui chiama testimoni, Internò e Pisano (l’autista del camion che sormontò il corpo di Bergamini), e non si sa spiegare perché pochi giorni dopo venga chiesto e disposto dal giudice un incidente probatorio. E non si sa spiegare perché i due testi lo smentiscano. Direi che è stata una deposizione desolante, un’udienza che però ha tradito ciò che è successo in quella camera mortuaria”.

Si ritorna in aula l’8 giugno.

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