di Lucia Bianchini
Ridare dignità alle storie di uomini e donne omosessuali vissuti durante il periodo del fascismo, e che per questo subirono lo stigma, questo l’intento del progetto ‘Le parole per dirlo’, ideato da Manuela Macario e curato da Delfina Tromboni e Luciana Passaro, che sarà presentato sabato 14 maggio alle ore 11 alla sala della Musica in via Boccaleone 19.
“In piena pandemia – racconta Manuela Macario- mi sono imbattuta casualmente in un post Facebook di Delfina Tromboni in cui raccontava in pochissime righe due episodi che coinvolgevano un uomo e una donna di Ferrara, durante il fascismo, entrambi gay e lesbica, e Delfina riportava la condizione delle persone omosessuali durante il fascismo. Le ho scritto chiedendole se fosse disposta a raccogliere altre vicende e realizzare una mostra, in cui raccontare storie di uomini e donne che hanno subito lo stigma, gli uomini andavano al confino, le donne erano invisibili ed erano viste come streghe, criminali, qui come nella Germania nazista”.
Il materiale raccolto, grazie al supporto dell’Archivio di Stato di Ferrara e del suo direttore Davide Guarnieri, si è rivelato però così ricco tanto da decidere di creare non una mostra, ma una pubblicazione.
La ricerca ha portato ad incrociare storie locali e internazionali: si parte dalle parole per dirlo, per dire gay e lesbica, e dai grandi personaggi della storia come Oscar Wilde e Virginia Woolf, che per primi hanno irrotto nella società con la propria omosessualità in maniera visibile, pagandone le conseguenze, fino ad un percorso in cui si raccontano le storie ferraresi.
Il progetto è stato realizzato grazie ad un finanziamento regionale destinato alle ‘Antenne contro la discriminazione’, e a supportare il progetto sono quattro antenne ferraresi: Arcigay, Centro Donna Giustizia, Dammi una mano e Lo specchio.
Manuela Macario racconta in particolare un retroscena di questo lavoro: “Abbiamo ridato dignità ad alcune storie d’amore, con la difficoltà, a distanza di 70 anni, di non violare la privacy nel momento in cui ci sono parenti ancora in vita: nonostante il nostro intento sia ridare dignità, lo stigma è ancora presente. Prima era stigma, oggi è pregiudizio, per cui raccontare la storia di Cerere Bagnolati e la compagna, ad esempio, può essere traumatizzante per qualcuno, perché nel caso di donne erano sposate e avevano figli e famiglia. Raccontare le storie del passato serve a dare dignità e memoria, che serve anche a spiegare il presente”.
Il volume parla soprattutto di donne, perché come spiega Macario, le donne lesbiche hanno subito l’invisibilità: “Le parole per dirlo fa esistere soprattutto le donne, con le loro storie, che non sono poi così lontane dal presente: in associazione ci chiamano con una certa frequenza, credo che la pandemia abbia messo davanti allo specchio molte persone. Riceviamo richieste di aiuto di persone ultraquarantenni che hanno scoperto di essere omosessuali, dopo averlo soffocato una vita, e magari hanno famiglia e figli”.
“Il problema delle persone omosessuali – prosegue-, da sempre, è la visibilità, che non è, come si crede, l’andare in giro con gli arcobaleni e gli unicorni, ma il poter vivere alla luce del sole ciò che si è e le proprie relazioni. Le storie di queste persone restituiscono memoria e dignità a relazioni durate tutta una vita, ma sempre nascoste. È una delle più brutte sofferenze a cui una persona può essere sottoposta: vivere una vita intera una relazione con una persona che non può essere presentata come la persona che si ama, e nessuno può conoscere il vostro sentimento”.
Le parole per dirlo sarà presentato anche a Cento, nell’ambito della settimana della corresponsabilità, martedì 17 maggio, giornata contro l’omofobia.
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