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10 Maggio 2022

Valli di Comacchio: l’affaire Boscoforte

di Redazione | 4 min

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E’ ormai arcinoto che le attuali Valli di Comacchio (10.000 ha. circa) rappresentano ciò che residua da un’imponente opera di bonifica idraulica, condotta a più riprese nel corso del secolo scorso, che ha ridotto il comparo vallivo a circa un quinto dell’originaria superficie.

Con il senno di poi si potrebbe gridare allo scempio ambientale ma correvano altre temperie con altre pressanti esigenze socio-economiche per le popolazioni locali che forse ne giustificarono il processo. E’ altresì noto come lo stesso comparto vallivo abbia costituito per un lasso di tempo di circa cinque secoli (XIII – XVII sec.), in cui i vari dominatori che si sono succeduti (Polentani, Estensi, Stato della Chiesa, Austriaci, Francesi) si siano adoperati per trarne il maggior profitto, che inesorabilmente avveniva a scapito dei comacchiesi, tanto da porsi il quesito se questo bene (le valli) nel corso dei secoli sia da considerarsi una risorsa o una disgrazia per la locale comunità.

Solo un comacchiese, un illuminato comacchiese, Antonio Buonafede, intuì, alla fine del ‘700, che il riscatto popolare, impossibilitato ad imporsi con forze proprie e/o per magnanimità altrui, mediante il doveroso riconoscimento degli storici diritti sulle valli dei comacchiesi, passava attraverso l’acquisto tout court del bene, cosa che rocambolescamente ottenne da Napoleone Bonaparte, al tempo comandante in capo dell’armata francese in Italia.

Infatti il giorno 23 di messidoro, Anno V della Repubblica Francese, ovvero martedì 11 luglio 1797, due comacchiesi, Antonio Buonafede e Guido Manfrini, esibito il mandato ricevuto a “pieni pienissimi voti segreti” dall’intero Corpo Amministrativo Municipale della Città e popolo di Comacchio, sottoscrissero con Napoleone Bonaparte, l’atto di acquisizione delle “Valli, e Pesche di Comacchio, e sue adiacenze”, quest’ultime pervenute nel pieno dominio della Repubblica Francese per ragione di conquista.

Quel che seguì a questo regolare acquisto è ancora oggi per certi versi storia oscura, tanto che ai giorni nostri insistono su tali Valli contenziosi tra “proprietari privati” e Comune di Comacchio per lo più riconducibili a conflitti gestionali idraulici e contrasti di natura patrimoniale derivanti da controverse intestazioni catastali e promiscuità patrimoniali, che non vengono reciprocamente riconosciute dalle parti interessate.

Fu la Regione Emilia Romagna nell’aprile del 2008 che, ravvisando la necessità di porre fine a tali controversie, per la tutela, salvaguardia e valorizzazione di un comparto la cui valenza ambientale ne fa una delle zone umide più importanti dell’intero bacino Mediterraneo, per il mantenimento della quale necessita di una costante regimazione idraulica e calibratura del gradiente salino, ha redatto un protocollo d’intesa nel quale, al primo punto, ne richiama gli intenti: “Oggetto del presente protocollo d’intesa è la definizione di un modello stabile di gestione e di valorizzazione ambientale dell’areale delle Valli di Comacchio, nel pieno interesse di tutte le parti pubbliche e private che vi insistono”.

Furono chiamati a sottoscriverlo oltre alla Regione Emilia Romagna promotrice, il Parco del Delta, le Province di Ferrara e di Ravenna, il Comune di Comacchio e la Società Bonifica Valli Meridionali di Comacchio. La stessa Regione fortemente motivata dal raggiungimento delle finalità trasfuse nel protocollo, individuando nella gestione unitaria del comprensorio vallivo un elemento fondante delle proprie politiche di tutela e valorizzazione dell’area, si impegnava altresì nel contribuire al finanziamento delle opere idrauliche utili al raggiungimento delle finalità enunciate.

Un elemento di particolare interesse contenuto nel protocollo, è dato dalla previsione che la privata penisola di Boscoforte, un’importante residuo di cordone dunoso, una morfoscultura che testimonia l’antica linea di spiaggia etrusca, sia ceduta, a titolo gratuito, all’Amministrazione Regionale: non rientra in detta previsione la cessione della parte più settentrionale della penisola, ove sono poste delle case di caccia, unitamente allo specchio d’acqua ad esse contiguo, al fine di consentire all’attuale proprietà la continuazione dell’attività venatoria.

E’ cronaca dei nostri giorni allorquando si scopre che l’unico che non ha sottoscritto il protocollo è il soggetto proponente, la Regione Emilia Romagna, la quale peraltro nel frattempo ha provveduto all’esborso delle somme necessarie (alcuni milioni di euro) per la realizzazione di un lungo argine (ciclabile) di separazione dei campi vallivi pubblico/privati dando attuazione alle previsioni del protocollo medesimo.

Propendiamo per una “colpevole dimenticanza”, alla quale è sempre possibile porre urgente rimedio, anzi la stessa Regione dovrebbe in questa fase di perfezionamento dell’atto cogliere l’occasione per riconsiderare alcuni punti del protocollo, in particolare la situazione Boscoforte, la quale così come proposta rappresenta una grossolana contraddizione in termini che inficia gli intenti del medesimo documento, improntati al perseguimento per tutti i soggetti presenti dell’autonomia idraulica e proprietaria. Stando così le cose, la parte comunale dovrebbe ancora comprendere al proprio interno una privata “enclave venatoria” che francamente non valorizza le peculiarità del sito, né riconosce lo sforzo di trovare le auspicate autonomie.

E allora Regione Emilia Romagna, ci si aspetta un’ulteriore impegno “riparatore” che senza intralci permetta finalmente al Comune di Comacchio, in autonomia idraulica e patrimoniale, di avviare quel processo di ritorno alla vallicoltura (2.0) in termini unitari nell’ambito del residuo bacino vallivo, senza cioè prevederne la segmentazione gestionale, che inevitabilmente riproporrebbe situazioni già praticate con i noti risultati: errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Evviva!

Maurizio Paiola

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