
Antonella Guarnieri
di Lucia Bianchini
Si può dire che sia caduto, secondo la storica Antonella Guarnieri, il cosiddetto ‘Teorema dell’impossibilità’, secondo il quale nella ‘fascistissima’ Ferrara, nel momento in cui avvenne l’omicidio di Ghisellini, evento che ha causato l’eccidio del Castello estense alla metà del novembre 1943, non vi fossero gruppi legati alla Resistenza e individui in grado di compiere un’azione armata.
Lo ha spiegato nella conferenza che si è tenuta mercoledì 20 aprile a Porta Paola, intitolata ‘Il teorema dell’impossibilità: nuovi elementi per lo studio della Resistenza ferrarese’, tema su cui ha annunciato di voler scrivere un libro.
Anche da Mimmo Franzinelli, in una conferenza in cui ha presentato a Ferrara il libro ‘Storia della Resistenza’ lo scorso anno, insieme alla stessa Antonella Guarnieri, è stata raccontata la grande difficoltà dello storico Santo Peli nello scrivere la storia dei Gap e la quasi totale assenza di materiale che raccontasse in maniera dettagliata la storia dei Gap ferraresi, con cui si è scontrata la stessa Guarnieri studiando l’omicidio di Iginio Ghisellini.
“A Gustavo Trombetti, un grande antifascista, compagno di cella di Gramsci, dissi che volevo capire se i partigiani avessero ucciso Ghisellini e da lui fui quasi presa a male parole. Io ero andata con un’ottima disposizione verso i partigiani, ma mi trattò malissimo, e la stessa cosa è successa non solo con lui: tutti ripetevano un mantra che ho finito per assorbire anche io, in quella fase iniziale delle miei ricerche, cioè ‘non è possibile che sia stato ammazzato da ferraresi perché a Ferrara, in quel periodo, non c’era nessuno capace di sparare’. Esistono ben tre relazioni di Trombetti e di Cristallo Alberganti, che io stessa ho citato nel mio primo libro, in cui si descrive in maniera molto precisa l’impossibilità che la Resistenza avesse di agire per l’assenza di persone capaci”.
“L’unico che sosteneva che Ghisellini fosse stato ucciso da un Gap era Spero Ghedini, e sostenne, proprio perché anche lui sottolineava l’incapacità dei ferraresi, che questi partigiani fossero arrivati da Bologna”.
Per molti anni è stato difficile sostenere questa tesi, perché negli anni Sessanta si tenne una vera e propria ‘caccia ai partigiani’, additati come i colpevoli di quella strage del fossato del Castello, e dai documenti della questura che pian piano vengono resi noti prende sempre più piede l’idea che a uccidere Iginio Ghisellini siano stati dei fascisti a causa di faide interne al Pfr.
L’antifascismo a Ferrara, come sottolinea Antonella Guarnieri, c’è sempre stato, in particolare nel borgo di San Luca, in cui si concentrava il poco proletariato urbano, poverissimo, i fascisti lo chiamavano il borgo dei ladri, ma non solo: “A San Luca l’antifascismo non è mai morto, e lì vi era una foltissima dominanza del Partito Comunista che agiva infiltrandosi anche nelle organizzazioni fasciste, culturali, universitarie. I giovani si infiltrano perché capiscono che questa dittatura non molla, con una lentissima operazione e importantissima, che si intreccia con il portato di alcune persone che non hanno mai mollato l’osso. Una, importantissima, è stata Alda Costa”.
A concretizzare l’ipotesi di un importante movimento antifascista a Ferrara, Italia Libera, costola del bolognese, è un documento dell’Ovra, in cui, come spiega la relatrice: “Si dice con chiarezza, e i fascisti non avevano interessi a raccontare quello che non c’era, anzi, raccontavano meno, che a Ferrara c’è una propaggine di Italia Libera che crea forte preoccupazione, perché a differenza dei bolognesi, che erano azionisti e intellettuali, molti dei quali interni all’Università felsinea, a Ferrara il movimento è interpartitico, ci sono azionisti, socialisti e comunisti, e si cerca di attrarre, addirittura, monarchici del calibro di Raffaele Cadorna, il generale di stanza a Ferrara con la Divisione Ariete II. Il movimento è anche interclassista, ci sono, infatti, operai, massaie, militari, personaggi come Renato Hirsch del partito d’azione, industriale ferrarese, Renzo Bonfiglioli, e si avvicina lo stesso Giorgio Bassani. Questo movimento era così preoccupante perché aveva già deciso, già prima del 25 luglio 1943, di evolvere in resistenza armata”.
Il ruolo dei militari, del reparto Celere 2° e successivamente dell’Ariete II, appare centrale, proprio perché da qui provengono diversi appartenenti alla Resistenza e tra questi anche il giovane leccese Donato Cazzato, che era arrivato a Ferrara nella primavera del ’43 con la Divisione di Cadorna, e che a Ferrara tornava, dopo aver combattuto dal 26 luglio nella zona di Roma per difendere la città dai nazisti.
A spiegare la caduta del teorema dell’impossibilità, secondo cui non potevano essere stati i partigiani ad uccidere Ghisellini perché non sapevano sparare è, quindi, la presenza in quegli anni a Ferrara, nelle file antifasciste, di diversi militari tra cui Bruno Rizzieri, Donato Cazzato, Mario Bisi, che aveva combattuto in Africa e conosceva le armi, Paolo Cofano, ucciso in circostanze poco chiare e il cui assassino è uscito indenne da un processo negli anni Cinquanta, e altri giovani ufficiali comunisti come Giuseppe Ferrari e Buzzoni. Va ricordato, ad arricchire i nuovi elementi sulla realtà resistenziale ferrarese dalla metà dell’ottobre 1943, anche se ancora deve essere sufficientemente approfondito, un elemento importante: Paolo Cofano, anch’egli leccese, conobbe Cazzato a Ferrara, ma proveniva dalla Croazia dove si era arruolato nella 75^ legione camicie nere, quella di Igino Ghisellini. Molto importante è stata anche Cerere Bagnolati, partigiana e staffetta che faceva parte del gruppo che animò la Resistenza ferrarese sino all’agosto 1944.
“Ora il lavoro prosegue – conclude Guarnieri – alla ricerca di alcuni ulteriori elementi specifici, per ampliare il quadro relativo all’antifascismo e alla Resistenza estensi e, chissà, magari, provare a elaborare una nuova ricostruzione dell’omicidio Ghisellini”.