Tresignana
19 Febbraio 2022
A un anno dall'uccisione dei cugini Benazzi, il gip ha rigettato la richiesta di mettere in carcere i due indagati. La procura ha impugnato l'ordinanza davanti al tribunale della libertà

Duplice omicidio di Rero: “Non ci sono i gravi indizi di colpevolezza”

di Daniele Oppo | 3 min

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Si attende la decisione del tribunale delle libertà di Bologna, che sarebbe dovuta arrivare entro ieri (venerdì 18 febbraio) alla scadenza dei venti giorni. Ma quel che si sa ora è che già il gip di Ferrara ha rigettato la richiesta di applicare la misura cautelare del carcere a carico degli unici due indagati per il duplice omicidio di Rero, quello in cui sono stati uccisi i cugini Dario e Riccardo Benazzi.

Un rigetto risalente già al mese di gennaio, ma noto solo ora, che appare piuttosto pesante per gli inquirenti. “Per il giudice – spiega l’avvocato Stefano Marangoni, che assiste Filippo e Manuel Mazzoni – non ci sono proprio i gravi indizi di colpevolezza e per questo non è nemmeno passato a scrutinare le esigenze cautelari”.

Se anche i giudici bolognesi dovessero concordare con le conclusioni dell’ordinanza del gip Vartan Giacomelli, sarebbe un duro colpo per gli inquirenti, che arriverebbe a quasi un anno di distanza dal fatto, avvenuto il 28 febbraio del 2021, in un campo di Rero, al confine tra Tresignana e Fiscaglia, prossimo all’abitazione dei Mazzoni, dove Riccardo Benazzi aveva montato il prototipo di impianto eolico che fu delizia e soprattutto croce della sua ultima fase di vita.

I due cugini, lo si ricorderà, furono uccisi a fucilate e poi bruciati dentro l’auto di Riccardo, dove vennero trovati carbonizzati.

La pm Lisa Busato ha impugnato la decisione del gip e il 27 gennaio scorso si è tenuta l’udienza davanti al tribunale della libertà a Bologna, competente per decidere sulle misure cautelari personali.

Tra le varie motivazioni addotte per giustificare la richiesta di portare in carcere i due indagati, oltre alla presenza di dissidi precedenti, vi sono la collocazione della morte dei due cugini attorno alle 11 di quel 28 febbraio, quando i Mazzoni erano in casa e dunque in prossimità del luogo del delitto, la supposizione che abbiano usato un fucile non registrato e poi abbandonato da qualche parte e che si siano cambiati dopo il delitto. Circostanze che per l’avvocato “non sono suffragate da prove”.

Quella dell’orario della morte, ad esempio, è una collocazione che per la difesa “è ad usum Delphini”, in altri termini, indicata con precisione con il fine di accusare i due Mazzoni, ma – dice l’avvocato Marangoni – “è impossibile stabilire l’ora della morte”. Vi sono poi delle altre discrepanze, evidenziate dalla difesa: un testimone riferisce di aver sentito una raffica di cinque spari verso le 10.15, ma “c’è una foto digitale scattata da un terzo soggetto che era con i miei assistiti e che ritrae i Benazzi che mostravano l’autorizzazione per lo smontaggio dell’impianto per poter stare lì. E questa foto è delle 10.29”. Una seconda sequenza di spari, questa volta tre e corrispondente al numero di spari che hanno ucciso i due cugini, sarebbe invece collocata in un orario “nel quale è provato che i Mazzoni non erano più lì, perché stavano andando al mare”.

Ovviamente in mano ai giudici è finito anche l’esito dell’incidente probatorio sui residui di sparo e sulle eventuali tracce biologiche nei reperti sequestrati ai due indagati: gli esami non trovarono nulla tanto che il legale parlò di “errore giudiziario” di cui sarebbero vittima i suoi assistiti.

 

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