Memoria, ricerca storica e sensibilizzazione delle nuove generazioni: questi gli ideali del Comitato per la Memoria dei X Martiri di Porotto, ufficialmente presentato alla cittadinanza sabato 4 dicembre presso la Polisportiva di Porotto.
Sono intervenute alla presentazione la presidente Vanessa Rossetti, la vicepresidente Lucia Bianchini, la storica Antonella Guarnieri, e Silvana Baroni, docente del liceo Carducci che insieme a due studenti ha intervistato Ivana Rossi, testimone diretta dei fatti.
Ha salutato con entusiasmo la nascita del Comitato il vicepresidente della Provincia Nicola Minarelli, che ha voluto condividere un messaggio, letto durante la serata: “La storia umana si rifiuta di tacere e si arricchisce delle voci, sensibili e impegnate, degli aderenti a questa importante iniziativa. I valori che sono messi a tema dal Comitato per la Memoria dei X martiri di Porotto non sono una meta raggiunta una volta per sempre, ma un compito costante che solo attraverso la volontà di non far tacere la storia può proseguire e guardare al futuro con speranza”.
Come ha spiegato Vanessa Rossetti lo scorrere del tempo fa sì che i testimoni siano sempre meno e mantenere la memoria sia sempre più difficile. Per questo un gruppo di cittadini ha deciso di costituire un Comitato permanente che possa prendersi cura di questa storia e possa essere un punto di riferimento sul territorio per organizzare insieme al Comitato per le Celebrazioni del 25 aprile le commemorazioni ufficiali e arricchirle di iniziative per coinvolgere la comunità locale. Tra gli scopi del Comitato c’è anche lavorare per la ricerca di nuova documentazione e di nuove testimonianze, per continuare nel percorso di ricostruzione di questa vicenda che ha ancora molti punti interrogativi. Il Comitato nasce come patto tra cittadini con l’impegno di andare oltre il ricordo e diffondere la cultura della memoria, per dare un senso più profondo alla conoscenza di quei fatti e provare a trasformare quella memoria in consapevolezza, che guardi all’oggi e al domani.
“I dieci giovani trucidati a Porotto erano tutti questi resistenti, ognuno con la propria ideologia politica, e forse qualcuno non ne aveva nemmeno una – ha sottolineato la presidente -. Sette vivevano proprio a Porotto, non abbiamo certezze sul perché siano stati uccisi proprio loro, qualcuno parla di una lista molto più lunga di antifascisti che circolava in quei giorni in paese, una voce che aveva allertato molte persone e generato paura, ma la sera del 21 aprile 1945 hanno preso proprio loro, e con gli alleati in arrivo tutto era frettoloso e urgente, anche eliminare in maniera brutale quei sette ragazzi, andandoli a prendere a casa o attirandoli con l’inganno nel buio delle campagne. Questa storia lascia ancora molti punti interrogativi, che cercheremo di colmare con il nostro lavoro di ricerca. Con il nostro impegno e le iniziative che metteremo in campo vorremmo soprattutto promuovere i valori che sono stati il faro per quei giovani resistenti”.
“Credo che Porotto – ha spiegato Antonella Guarnieri- in quel terribile ’44-‘45 sia stato un microcosmo importantissimo per leggere la storia di Ferrara, ma anche dell’intero paese occupato dai nazifascisti. Di quelle storie ci dovremo occupare, perché di quello che è accaduto troppo poco è stato ricostruito, e c’è un motivo: il nostro Paese non ha voluto raccontare in maniera corretta, precisa, analitica e non pregiudiziale la storia. Non possiamo costruire i materiali secondo i nostri pregiudizi, dobbiamo calarci in ciò che abbiamo davanti togliendo dalla mente le nostre idee, lavorando con confronto ed estraendo storie che magari non sono quelle che ci aspettavamo, e nemmeno ci piacciono”.
“Con la strage del Castello inizia un periodo di terrore che culminerà nei fatti di Porotto, incomprensibili. I due eccidi sono infatti diversi tra loro: quello di marzo è di uomini politici, che lavoravano attivamente nel movimento resistenziale e sfuggono a un’imboscata, e tre di loro vengono uccisi. Quello dei sette giovani è talmente incredibile che sembra sfuggire a un fatto in sé e per sé legato solo alla politica. I giovani sono uccisi il 21 aprile 1945, il pomeriggio dopo il Paese sarà liberato. Il clima era pesantissimo, perché il paese, la città, l’Italia era divisa, e ognuno cerca di seguire disperatamente un ideale, e dentro questo groviglio nascono episodi inestricabili. Il fatto di Porotto non ha purtroppo giustizia neanche nel dopoguerra: a questo dobbiamo provare a dare risposta, uscendo da logiche prettamente politiche, capire perché non si è fatta giustizia, perché si è taciuto davanti ad eccidi del genere, di cui si sapeva molto di più di quanto ha transitato nelle pagine della storia”.
Nell’ eccidio del 23 marzo 1945 furono uccisi Luciano Gualandi, Giorgio Malaguti e Ugo costa, mentre i sette ragazzi porottesi uccisi il 21 aprile 1945 erano: Dino Manfredini, Giancarlo Massarenti, Quinto Rossi, Egidio Artioli, Cesare Artioli, Renzo Artioli e Tonino Pivelli, come ha ricordato Lucia Bianchini, tracciandone un profilo, con i pochi dati conosciuti.
Aveva solo cinque anni Ivana Rossi, ma ha un ricordo vivido, che ancora oggi la fa emozionare, dei giorni in cui fu ucciso Quinto Rossi: “La sorella di mia madre aveva sposato un fratello di Quinto Rossi, per noi non era solo un cugino, per papà era come un fratello. Mio zio Guerino era partigiano nella squadra di Spero Ghedini ed è riuscito a salvarsi con l’aiuto di un fascista che gli ha dato i suoi vestiti e lo ha fatto scappare passando per il canale. Mia madre faceva la staffetta e da mangiare a dei partigiani nascosti nel terreno vicino a casa nostra, vivevamo in via Ladino, vicino a via Civetta. Mio padre era militare, e alle dieci passava Pippo, allora avevamo i materassi giù, per terra, per arrivare più velocemente al rifugio”.
“Papà era a casa in quel periodo ha proseguito Ivana Rossi-, e aveva tenuto Quinto nascosto nel fienile per cinque giorni, ma quella sera, mi raccontava papà, voleva andare a casa, e malvolentieri lo ha lasciato andare. La sera eravamo già a letto e abbiamo sentito un frastuono terribile e bussare alla porta: erano una squadra di tedeschi, che fecero una gran baldoria e mangiarono lì a casa mia. Poi se ne sono andati, e sono andati a fare quello che sappiamo. Il mattino dopo ero in cortile con la mamma e abbiamo sentito delle urla, lei ha riconosciuto la voce di sua sorella, e le è corsa incontro. Quando i tedeschi sono usciti da casa nostra sono andati da tutti i ragazzi, alzato c’era solo mio zio, il papà di Quinto, massacrato di botte perché non voleva dire dove era il figlio. Quinto era scappato dal tetto, ma arrivato lì qualcuno lo aspettava. Le urla che sentivamo era la madre di Quinto, che arrivata sul luogo dell’eccidio aveva visto la tragedia, e il marito, arrivato prima di lei, svenuto per ciò che aveva visto”.
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