di Anna De Vivo
Cura, valorizzazione, fruizione del patrimonio culturale e spirito cooperativo sono i pilastri su cui si erge il progetto “Sintonie”, testimone di una compartecipazione virtuosa tra pubblico e privato. Infatti, quando le due parti condividono obiettivi, risorse e competenze il risultato è la creazione di un valore condiviso e di opportunità da offrire alla collettività in termini di proposta culturale. “Sintonie tra pubblico e privato” è il risultato della collaborazione tra la Direzione Regionale Musei Emilia Romagna, Assicoop Modena&Ferrara e Legacoop Estense.
L’accordo triennale si concretizzerà con l’esposizione di una selezione di opere pittoriche e scultoree facenti parte della raccolta Assiccop che verranno ospitate dal Museo Archeologico Nazionale di Ferrara e dal Museo di Casa Romei ed entreranno in dialogo con gli ambienti e con le collezioni già presenti. Mostre tematiche temporanee, percorsi di didattica museale, momenti di divulgazione e sensibilizzazione al riconoscimento del patrimonio locale, eventi e incontri dedicati all’educazione al patrimonio arricchiranno l’iniziativa.
Assicoop Modena&Ferrara da quasi vent’anni ha avviato un percorso di collezione di opere d’arte di artisti modenesi e ferraresi del XIX e XX secolo. La raccolta ospita oggi più di settecento opere tra dipinti, sculture, disegni e stampe, conservate presso le proprie sedi a Modena e Ferrara. A nomi di artisti noti come quelli di Boldini, De Pisis, Funi, Malatesta, Muzzioli e Graziosi, si affiancano quelli di artisti meno conosciuti, ugualmente importanti però per la definizione di un panorama storico-artistico locale e nazionale.
“L’occasione di questo progetto – dice Tiziano Trocchi, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, alla tavola rotonda ospitata dal museo per la presentazione dell’iniziativa – ci è sembrata giusta e la migliore per avviare una riflessione e un approfondimento sul tema del rapporto tra la valorizzazione di beni pubblici e di beni privati. È un tema molto ampio e molto complesso che contiene in sé tanti aspetti tra cui quelli normativi, che regolano il rapporto tra pubblico e privato per quanto riguarda valorizzazione, promozione e fruizione dei beni culturali, aspetti amministrativi e di metodo. Un tema importante anche perché ha a che fare con l’educazione al patrimonio”.
“L’iniziativa che presenteremo – spiega il presidente di Legacoop Estense, Andrea Benini – ha molto dello spirito cooperativo. Il nostro fare impresa è fortemente radicato nelle comunità in cui investiamo e in cui le nostre cooperative operano. È una forte collaborazione tra pubblico e privato che funziona e la ripartenza del Paese è fortemente legata a questa cooperazione. Oggi con questo progetto ferrarese si scrive un piccolo pezzo di storia. Come mondo cooperativo noi abbiamo sempre cercato di far collaborare pubblico e privato in modo virtuoso e questo oggi viene applicato in questa logica in cui si riescono a mettere dei patrimoni a disposizione di cittadini e istituzioni”.
“Dobbiamo cogliere questo momento come una grande opportunità – esorta l’assessore alla Cultura del Comune di Ferrara, Marco Gulinelli -. Noi abbiamo non solo il dovere di tutelare e conservare il patrimonio culturale e le bellezze straordinarie che abbiamo nelle nostre città, ma dobbiamo anche aumentare e ampliare questo patrimonio, dobbiamo far entrare l’arte nell’economia del Paese e bisogna cercare di essere assolutamente concreti. Non siamo solo degli eredi ma siamo anche dei continuatori di queste bellezze, dobbiamo dare più vita al patrimonio storico e artistico che abbiamo ereditato e dobbiamo reinserirlo nella società. C’è poi un problema di tipo dualistico: pochi musei sono frequentati moltissimo mentre molti musei sono quasi deserti e la situazione si è aggravata con la pandemia. Abbiamo quindi la necessità di impegnarci quotidianamente per tenere viva l’attività museale e produrre nuova bellezza”.
“Circa una ventina di anni fa, più precisamente nel 2002 – racconta Milo Pacchioni, presidente di Assicoop Modena&Ferrara -, abbiamo deciso di impegnarci investendo in arte, perché abbiamo nel nostro Dna il fatto di restituire al territorio una parte delle risorse che come attività d’impresa produciamo ed è anche un modo di legarci sempre di più ai territori in cui viviamo, siamo nati, cresciuti e in cui fino a oggi abbiamo prosperato. La nostra raccolta d’arte è nata dalla passione, dai gusti personali e dal forte radicamento territoriale, con l’obiettivo di dare il nostro contributo alla tutela, alla conservazione e alla valorizzazione di un patrimonio che rischiava di essere perduto. Abbiamo posto subito l’attenzione su artisti del nostro territorio, tra Modena e Ferrara, attivi tra ‘800 e ‘900. Abbiamo investito non solo sui nostri artisti maggiori, ma anche su artisti minori, meno conosciuti a livello nazionale e internazionale, che abbiamo ritenuto fossero ugualmente importanti per la ricostruzione del tessuto storico e sociale dei nostri territori. Oggi la collezione conta più di 750 opere tra quadri, sculture e disegni, catalogate scientificamente. Sono opere provenienti da diverse fonti, da diversi territori, dall’Italia ma anche dall’estero, da privati e dal mercato antiquario. Per la nostra collezione ci siamo posti da subito due obiettivi precisi: abbiamo rivolto uno sguardo particolare agli enti che operano sul territorio in ambito culturale e nella conservazione del patrimonio artistico e abbiamo voluto rendere fruibile la nostra collezione al pubblico e a tutti gli appassionati. Questi due obiettivi via via si sono intrecciati tra loro e seguendo questi indirizzi abbiamo promosso numerose iniziative”.
“Abbiamo cercato di progettare – aggiunge l’architetto Andrea Sardo – un qualcosa che andasse oltre il semplice collegamento dialogico tra opere del privato e opere del pubblico, tra gli intenti del collezionista Milo Pacchioni e il compito istituzionale dei nostri musei statali. Abbiamo cercato di realizzare attività che riuscissero a portare a una buona mediazione col pubblico e a una buona partecipazione dei pubblici per dare anche dei nuovi sensi e delle nuove interpretazioni alle narrazioni che intendiamo presentare. Abbiamo basato tutto su un contratto di sponsorizzazione nel quale si esprime in maniera estremamente semplice la possibilità di sancire delle collaborazioni tra mondo pubblico e mondo privato con benefici estremi per una parte per l’altra. È stata una sperimentazione che a breve darà i suoi frutti secondo un calendario che già dicembre prevede un allestimento del primo nucleo di 37 opere a cui poi seguiranno altre attività e allestimenti temporanei”.
“Di un museo che cosa godiamo? – interviene la responsabile dei Servizi Educativi e della Direzione Regionale Musei Emilia Romagna, Patrizia Cirino – Godiamo le meraviglie, la sua capacità di risonanza o la risposta che da a una domanda? Perché dal nostro punto di vista antropologico, questo è il compito che ci assumiamo ogni volta che progettiamo percorsi di valorizzazione, di confronto e dialogo con i pubblici, i territori e le comunità di patrimonio: suscitare quesiti e riflessioni, interrogarci su quale ruolo può svolgere il museo per essere un presidio sul territorio, farsi attore sociale e interprete della contemporaneità. Quindi a che cosa serve un museo, oltre che a porsi delle domande? Sicuramente a consentire la mediazione dei significati per un accesso più democratico e inclusivo alla cultura. Oggi i musei non sono più un luogo esclusivo di conservazione della memoria, ma sono uno spazio di dialogo dinamico e attivo con i territori e le collettività di cui esprimono i valori, la storia e la cultura. Al museo spetta anche il compito difficile di sviluppare un proprio ruolo educativo e di richiamare il più possibile i pubblici, che sono eterogenei e verso i quali bisogna costruire, a volte anche insieme, percorsi a seconda del loro background culturale, della loro età e delle loro appartenenze, quindi coinvolgerli. Il museo odierno si propone di essere un’istituzione aperta,inclusiva, per pubblici eterogenei sempre più diversificati per interessi e stili di apprendimento, un centro di elaborazione culturale dei e nei territori, un’agente di mediazione nello svolgere la propria funzione educativa. La visione che il progetto “Sintonie” ha scelto di adottare è strettamente intrecciata con un’idea di un museo capace di mettersi in ascolto e di creare relazioni con i territori e le comunità”.
Ma quale sostegno può dare il privato alla cura e alla valorizzazione del patrimonio culturale? Quali sono gli strumenti che abbiamo a disposizione? Qual è il futuro della cultura e dei musei? A fare il punto della situazione sulla necessità di educazione al patrimonio nel nostro Paese è il direttore del Museo Egizio di Torino, Cristian Greco: “I musei sono in primis enti di ricerca e devono diventare osmotici con l’università. Abbiamo bisogno nei nostri musei di sociologi, storici, antropologi e filosofi che ci connettano alla società e questo i musei non possono più farlo da soli. C’è bisogno di compenetrazione, di un ruolo compartecipativo con l’università nella ricerca e nella formazione. I musei non sono solo luoghi di conservazione della memoria, ma oggi con maggiore forza devono rivendicare di essere luoghi di creazione della memoria, luoghi di tutela anche attraverso l’opera educativa, radicando la memoria nella collettività. I musei non sono solo i reperti contenuti nella propria vetrina, sono biblioteche, archivi, studi, patrimoni intangibili, tradizioni di conoscenze che vanno di generazione in generazione. Dobbiamo portare giovani nei musei. I dati ocse pre pandemia sono devastanti: il 26% degli italiani visita i musei una volta l’anno. Qui dobbiamo intervenire ma dobbiamo farlo attraverso la formazione. In Italia si pensa ancora che la formazione museale possa passare attraverso una gita una volta all’anno e non capiamo l’importanza di questa immensa enciclopedia materiale, questi 4.667 musei sul territorio nazionale sono l’enciclopedia da consultare regolarmente. Bisogna stimolare le scuole a uscire dalla scuola, a venire a formarsi e a imparare all’interno delle nostre collezioni”.
“Se vogliamo diventare un museo partecipativo – prosegue il direttore – se vogliamo che il museo non sia una società sospesa, se vogliamo che il museo sia davvero quel luogo di creazione della memoria e di formazione, c’è bisogno di ricerca, in tutte le sue declinazioni disciplinari, fatta in compartecipazione tra enti pubblici e privati, di innovazione e formazione continua. Sto pensando a un modello economico completamente diverso, sto pensando a un museo che possa pian piano diventare gratuito e in questo ci siamo dati un’ottica temporale di 5 anni, in riferimento non solo all’articolo 9, ma anche all’articolo 3 comma 2 della Costituzione in cui si afferma che dobbiamo lavorare per abolire tutti quegli impedimenti che non permettono lo sviluppo completo della persona. In questo senso i musei sono i luoghi di frontiera, sono fondamentali nella formazione continua delle nuove generazioni e degli adulti, sono la colonna spinale del Paese perché una collettività senza memoria non ha futuro”.
“Valorizzazione del patrimonio culturale – spiega la dottoressa Valeria Di Giuseppe Di Paolo della Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura – significa proprio accrescimento della conoscenza, dello studio, della promozione di questo patrimonio. La separazione normativa tra tutela e valorizzazione viene superata perché la conoscenza diventa proprio il primo atto della tutela e si collega alla valorizzazione quando questo patrimonio viene messo a disposizione della comunità. Quindi le due funzioni sono inscindibili”.
“Le forme di sostegno – conclude la direttrice responsabile del Servizio Patrimonio Culturale della regione Emilia Romagna, Cristina Ambrosini – sono una parte importante per i nostri istituti culturali, per i musei ma anche per gli archivi, per le biblioteche, per una messa infinita di patrimoni che stanno anche fuori dagli istituti culturali, pensiamo ai parchi archeologici, ai complessi monumentali, alle strade e ai centri storici. Il lavoro che la Regione Emilia Romagna fa e ha fatto per decenni assieme all’Istituto dei Beni Culturali, che ora è diventato il Servizio Patrimonio Culturale, è proprio quello di operare nell’ottica dell’educazione al patrimonio creando legami forti e innovativi, cercando un raccordo significativo con i territori con un rapporto che non può esimersi da una ricerca multidisciplinare ben condotta, che ha dei tempi lunghi e che deve accompagnarsi a veri percorsi di accessibilità. È importante saper leggere gli spunti per andare avanti e le linee di sviluppo già presenti nella nostra realtà odierna”.