
(foto di Sergio Caselli)
di Simonetta Pazzi
Sotto il loggiato del primo braccio curvilineo della Certosa, in prossimità dell’apertura che conduce all’Area Giordani, all’arco numero 233, si trova la Tomba Baroni.
Un’opera assai singolare, una composizione che con le sue forme rotondeggianti, i preziosi marmi, e il suo voler mantenere, inglobandoli, le lapidi e i manufatti dei precedenti assegnatari, non trova riscontro nelle trentotto distese cimiteriali, cittadine e del forese, presentando delle peculiarità non facilmente riscontrabili in altri campisanti nazionali.
Quasi ad altezza occhi una sporgenza nera opaca sulla quale spicca, per contrasto, la scritta “Giuliano Baroni 11 maggio 1975-14 giugno 2001” delimitata nella parte superiore da un cordolo bianco.
La parte nera raffigura una porzione di barca a basso pescaggio che poggia su un marmo screziato a forma di piccola onda che, in basso a sinistra, presenta una sporgenza con un elemento ombelicato e spiraleggiante. Nella parte superiore, stagliata su un cielo azzurro di una trasparenza serena e quasi impalpabile, la prua di una gondola è in procinto di affondare, perché travolta da una enorme onda, tutta protesa verso la parte destra occupata da sovrapposte lapidi dei precedenti assegnatari. Conclude, e simula una profondità in prospettiva nella rotondità superiore dell’arco, un arcobaleno.
Ammirando i segni iconografici e decori funerari dentro al contesto della Certosa di Ferrara, si intuisce come tutte le immagini o simboli siano stati creati nell’immediatezza dell’evento luttuoso o, in momento successivo, ma sempre prossimo, e quel frangente è restituito utilizzando immagini o simboli beneauguranti per la vita ultraterrena o che esprimono la condizione inconsolabile di chi rimane, causata dallo strappo subito e non ancora metabolizzato.
Al contrario, in questo arco, essendo intercorso un lunghissimo tempo tra progettazione e traduzione visiva, il visitatore coglie un grande lavoro emotivo in un lasso temporale dilatato, causato dal tentativo di rielaborare l’accaduto, che è costato più fatica e più energia rispetto ad altri, perché autore è lo stesso padre di Giuliano: l’architetto Flavio Baroni, che ha progettato, commissionato e fatto eseguire l’opera interamente a proprie spese, ponendo la sua firma sul lato sinistro di essa, arrivando persino a ricevere i complimenti di Vittorio Sgarbi.
“Da subito – ha sottolineato Baroni – ho rifiutato l’idea di dover ereditare da mio figlio come stava accadendo per la liquidazione dell’indennizzo riconosciuto dall’assicurazione, e in un primo momento era sorto il desiderio di investire la quota per la costruzione, interamente a mie spese, di un piccolo teatro acustico completamente autogestito e già finanziato per il futuro, da donare alla città. Dopo il rifiuto ingiustificato dell’amministrazione comunale, parte della quota è confluita in borse di studio per giovani aspiranti musicisti della locale Scuola di Musica Moderna e, dopo il 2010, nella esecuzione di questo monumento. Quando perdi un figlio hai la necessità di non doverlo perdere del tutto, nasce quindi una esigenza che porta a creare uno o più luoghi nei quali ritrovarlo”.
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