Attualità
27 Settembre 2021
La laicità: il punto di vista del Movimento nonviolento con Daniele Lugli

Quando “Tutti è il plurale di Tu”

di Redazione | 4 min

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Daniele Lugli

Daniele Lugli, responsabile del Movimento Nonviolento di Ferrara, ha partecipato nei giorni scorsi agli incontri sulla laicità organizzati dalla scuola media T. Tasso.

La conferenza si inserisce all’interno di un progetto che coinvolge molte realtà di Ferrara ma anche della provincia: il Teatro Off, le biblioteche comunali di Ferrara, la biblioteca popolare Giardino, le biblioteche di Portomaggiore e di Argenta. Vi sono anche diverse librerie: in città Libraccio, Feltrinelli, Libreria La Pazienza arti e libri, librerie.coop; ad Argenta la libreria Giralibri. Sono coinvolti inoltre tre istituti: due di Ferrara (Istituto Gramsci e Anpi) e uno di Imola: l’Asfai – Archivio storico della federazione anarchica italiana. Ad Andrea Amaducci e Maria Ziosi si deve infine l’immagine della cartolina.

Daniele Lugli, “Buoni giorni laici”…

Laicità è per me in primo luogo consapevolezza della propria ignoranza e dell’essere condizionati da molte influenze, non buone, nella propria esistenza. È un processo di liberazione. Non è facile essere liberi dal dogmatismo. Si estende anche oltre la religione. Investe campi che dovrebbero essere della libera ricerca. È la scuola il luogo dove il sapere deve esprimersi in tutta la sua capacità critica e antidogmatica. Non sempre è così. Ho conosciuto un libero religioso, Aldo Capitini, e la sua proposta: “il programma è, non di dividere la scuola in cattolica, socialista, comunista, laica, nonviolenta ed altro, ma di riservare la promozione di questi indirizzi ai nostri centri, ai nostri gruppi, alle nostre riviste, e di costituire una scuola valida aperta, elevata, tale che sia veramente per tutti”.

Il nostro Stato fa differenza tra le religioni credute e praticate e non dovrebbe. Concede privilegi a quella cattolica ed è esposto alle ingerenze della Chiesa. Se queste non sono pesanti come in passato è più dovuto alla qualità delle gerarchie ecclesiastiche, a partire dal Papa, che alla difesa della laicità delle istituzioni da parte di chi ne avrebbe il compito. Ora a Ferrara, ad esempio, abbiamo un Vescovo che appare impegnato per il bene della comunità e i diritti di tutti, dopo uno che ha rappresentato reazione ed oscurantismo.

Io sono laico e pure anticlericale, per reazione, credo, ai clericali. Sostengono la partecipazione e l’influenza della Chiesa, nel nostro caso la cattolica, nel governo dello Stato. Questo ruolo attribuito alle religioni, a tutte le religioni, garantisce pessimi risultati per tutti i cittadini. Non solo se si tratta dell’Islam, nelle sue varianti, ma del cristianesimo, nelle diverse chiese, dell’induismo, del buddismo, dell’ebraismo e di quante altre ci propongono la loro esclusiva verità.

Papa Francesco di clericalismo parla in primavera ai vescovi messicani. Vale per tutti. La mondanità spirituale, la vicinanza al potere sono una tentazione. La carità – dice – fa allargare il cuore, spinge ad abbracciare gli esclusi. Il suo discorso si conclude con un fermo invito a non clericalizzarsi, a non dimenticare che il clericalismo è una perversione: “A no clericalizarnos. No se olviden que el clericalismo es una perversión”.

Il laico Capitini, sommamente religioso – forse per questo suoi libri sono stati mesi all’indice – indica quali “princípi di vita e di morte e come tappe necessarie per l’avvenire religioso, la libertà, l’eguaglianza, la fratellanza”. Rileva “che tanti laici, pur dicendosi scolari del Settecento, hanno tradito tralasciandone l’uno o l’altro”. È un giusto richiamo: la laicità non è una condizione statica è una pratica di liberazione e di costruzione di una comunità migliore. A queste condizioni anche uomini di fede sono benvenuti.

In questa nostra città, nel 1948 Capitini, grazie a Silvano Balboni, suo giovane collaboratore e assessore comunale, organizza un Convegno molto seguito dal quale esce la proposta della comunità aperta. È una proposta più che mai valida. Comunità perché ciascuno si senta accolto e a casa propria; aperta perché nella chiusura le cose si fanno stantie e vanno a male, come quotidianamente sperimentiamo.

La scuola è centrale nella costruzione di una comunità aperta. Sul Corriere della Sera, del 9 settembre una lettera di Mariapia Veladiano, già preside, scrive cose che condivido e mi piace condividere. Ricorda che la scuola è comunità di vita e comunità educante. Luogo in cui si imparano le dinamiche buone della socialità. Dove non confermo quel che sono ma divento nuovo e più consapevole. Scopro la meraviglia della varietà del mondo attraverso la varietà delle persone che conosco.

È il luogo, aggiungerei, dove imparo a rivolgere il Tu oltre la sfera familiare. “La mia nascita è quando dico un Tu” mi dice Capitini. Bello se i ragazzi e le ragazze possono comprenderne il valore e persino che “Tutti è il plurale di Tu”. Speriamo lo insegnino in casa. Mi piace pensarli intenti a costruire comunità sempre più larghe e aperte, composte da chi si rivolge un Tu sincero, dove buongiorno vuol dire veramente buon giorno. Dove le persone sono liete dell’esistenza, della libertà, dello sviluppo di tutti i Tu.

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