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(foto di Feliv Vazquez)
di Federica Pezzoli
Il secondo appuntamento della stagione estiva del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara è con un performer a lungo atteso sul palco cittadino: il pluripremiato coreografo e bailaor spagnolo Israel Galván, che giovedì sera si è esibito nel suo “La edad de oro”.
Figlio d’arte, Galván è cresciuto imparando e danzando con suo padre e sua madre, i ballerini José Galván ed Eugenia de los Reyes. Ecco perché vede “flamenco in tutto ciò che mi circonda”, sia esso un film di Kubrick, un quadro di Dalì, una partita di calcio o la danza giapponese del butoh. Nato nella danza flamenca, ha saputo interpretare la tradizione non, come spesso succede, intrappolandola e incatenandola a schemi rigidi, ma innovandola dall’interno, donandole carne e anima, indispensabili per vivificare ogni tradizione popolare che non voglia diventare ‘antica’.
E l’assolo “La edad de oro” è un perfetto esempio del flamenco di Galván, uno straordinario equilibrio tra il flamenco di oggi e il suo incredibile passato. Con questo spettacolo, il bailaor pesca a piene mani dal mondo del flamenco, in particolare da quella che specialisti e critici hanno definito la sua ‘età dell’oro’, il periodo tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, rendendole un suo personalissimo omaggio.
Un omaggio che Galván danza superando ogni stereotipo e uscendo dai linguaggi codificati di quest’arte popolare, iscritta dell’elenco del patrimonio culturale Unesco, che affonda le sue origini nell’Andalusia dei gitani e dei toreador di fine Settecento, quando si hanno le prime testimonianze scritte, fra Cadice e Siviglia, passando per Jerez de la Frontera.
Accompagnato dalla voce di David Lagos, uno dei più quotati cantaores del momento, e dalla chitarra di Alfredo Lagos, Galván sfoggia lo stile che lo ha reso noto nel mondo: il gioco di gambe complesso e rapido, punteggiato da momenti di quiete e silenzio, da pose ieratiche a incorniciare la danza che evidenzia la figura libera e la linea singolare, l’ellissi, la concitazione, il virtuosismo.
C’è tutta la forza, la decisione, la fierezza, la sensualità, l’impetuosità e l’inquietudine dell’arte flamenca e ci sono anche tocchi d’avanguardia che amplificano l’effetto di questa danza sui corpi e sui sensi del pubblico. Galván imperversa per quasi due ore tenendo incollati gli spettatori agli ipnotici movimenti che dai suoi piedi e dalle sue gambe attraversano ogni sua fibra, fino ai polsi e alle dita: il ritmo del flamenco lo attraversa e lo guida, oppure è lui stesso che crea il ritmo grazie al misterioso e magico duende. La tecnica non basta, nel flamenco è il fuoco interiore che bisogna accendere. Come scrisse Garcia Lorca, “il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue”, “non c’è mappa né esercizio” per imparare il duende, acquisirlo o capire dove sta.
Ecco, giovedì sera Israel Galván ha regalato a Ferrara un po’ del suo duende.
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