Una richiesta severa di condanna e un piccolo colpo di scena. È ciò che ha riservato l’udienza di lunedì del processo a carico di don Tiziano Bruscagin, accusato di aver calunniato il defunto Ido Gianella e i figli Alfredo e Francesco Gianella, indicandoli come coinvolti nell’omicidio di Willy Branchi.
Il pm Andrea Maggioni, dopo una lunga e accorata requisotoria, ha chiesto al gup Vartan Giacomelli che l’ex parroco di Goro venga condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione in abbreviato.
Fu il prete che più volte nel tempo e già a ridosso del brutale assassinio di Willy, avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1988, e poi ancora nel 1996, fece intendere di sapere chi aveva compiuto quel brutale omicidio.
Inizialmente raccontò che l’assassino si era confessato proprio con lui il giorno successivo e per questo non poteva rivelarne l’identità. Poi, anni dopo, emerse il nome di Ido Gianella e lui confermò, sostenendo questa volta che l’informazione gli era arrivata tramite una vox populi. Di fatto però, nella ricostruzione accusatoria, quella che nel tempo è diventata vox populi era nient’altro che la voce dello stesso don.
Bruscagin ha ondeggiato tra l’affermare di aver sempre indicato agli inquirenti Gianella come autore e l’opporre il segreto confessorio per non poter rivelare il nome dell’assassino agli stessi inquirenti, fino a confermarlo al giornalista Nicola Bianchi (che lo stava registrando) e sostenere in un’intercettazione disposta dalla procura di sapere che Gianella non c’entrava nulla.
Ecco perché avrebbe calunniato padre e i due figli, con questi ultimi che avrebbero aiutato a disfarsi del cadavere trucidato di Willy e oggi parti civili assistite dall’avvocato Dario Bolognesi: “Si può sostenere che questa persona ha fatto delle accuse pur sapendo che i Gianella erano innocenti o comunque non avendo alcuna prova concreta se non le sue stesse maldicenze”, afferma l’avvocato che si è accodato alla richiesta di condanna avanzata dal pm e afferma che il prete “ha causato dolore sia alla famiglia Branchi che a quella Gianella”. Argomento, questo, che non è sfuggito al fratello di Willi, Luca Branchi, presente in udienza, e al suo avvocato.

Da sinistra: Luca Branchi e l’avvocato Simone Bianchi
E qui veniamo al piccolo colpo di scena. Che sia corretta o meno l’impostazione della procura, che davvero don Bruscagin si sia inventato tutto, per la famiglia Branchi la questione ha e avrà solo un’importanza ‘storica’ e magari investigativa per il procedimento principale ancora aperto: dopo aver pronunciato parole dure nei confronti del prete e del suo atteggiamento per aver nuociuto alle indagini e non aver risparmiato qualche stoccata all’indirizzo degli stessi Gianella, l’avvocato Simone Bianchi ha ritirato la costituzione di parte civile.
“Non vogliamo soldi, volevamo essere parte attiva di questo processo – spiega il legale -. Il nostro obiettivo era fornire elementi al giudice affinché possa emettere una sentenza giusta e per noi si chiude qui”. E però riamane uno strascico ancora, perché sul dolore che Bruscagin avrebbe provocato alle famiglie di Willy e delle parti civili, argomento emerso anche in udienza, Luca Branchi si dice “sconcertato nell’apprendere dopo 33 anni che il dolore per la scomparsa di un figlio, un fratello brutalmente ucciso, possa essere parificato a una calunnia presunta effettuata dal parroco”.
Il processo non è ancora finito e non finirà neppure lunedì prossimo, quando è in calendario la discussione da parte della difesa di don Bruscagin, gli avvocati Milena Catozzi e Marcello Rambaldi. Ci sarà infatti un’altra udienza per le repliche e per la sentenza.
La difesa di don Bruscagin ha preferito non rilasciare dichiarazioni.
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