Attualità
1 Maggio 2021
L'arcivescovo è intervenuto al convegno organizzato da diocesi e Ucid Ferrara sul ruolo sociale e ambientale delle aziende

Lavoro, agricoltura e impresa, le parole chiave di Perego per la svolta

di Redazione | 3 min

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Responsabilità, innovazione, sostenibilità, imprenditorialità e bene comune. Sono queste le parole chiave scelte da monsignor Gian Carlo Perego nel suo intervento per il 1° maggio, alla Festa diocesana dei lavoratori.

Nella tarda mattinata l’arcivescovo è intervenuto al convegno “Agricoltura etica: il ruolo sociale e ambientale delle aziende” organizzato dalla diocesi e dall’Ucid Ferrara.

Oltre a Perego, è intervenuto Stefano Calderoni, presidente Cia – Ferrara e Antonio Frascerra, presidente Ucid Ferrara, col saluto iniziale di Massimo Piva, vicepresidente Cia Ferrara. Il video dell’incontro, trasmesso in diretta, si può trovare sul canale YouTube “Cia-Agricoltori Italiani Ferrara e Imola”.

“Oggi viviamo una situazione a due velocità”, ha riflettuto il vescovo. Mentre il comparto industriale e artigianale e commerciale rallenta, quello alimentare e di conseguenza quello agricolo, cresce, “ma con una produzione in eccesso per l’impossibilità di poter esportare”.

Migliaia sono i posti di lavoro persi, mentre aumenta il lavoro precario, “il risparmio crescente non ha portato a investimenti e il sistema creditizio non è stato in grado di fare un salto di qualità. Anche nel nostro territorio – ha proseguito – ci sono due economie e due volti del lavoro: quella della città, sempre più commerciale; quella della campagna, sempre più di produzione. Questo chiede una sinergia tra i due soggetti, considerarsi un’unica comunità”.

Cinque i termini chiave individuati dal presule per una svolta. Il primo è responsabilità: “La responsabilità sociale dell’impresa deve fare in modo che la concorrenza deve diventare più equa e più etica e non indebolire le tutele sociali, i salari minimi, la sicurezza sul lavoro, la previdenza, l’assistenza sanitaria, il rispetto dell’ambiente. Non si può sacrificare alla produzione, alla vendita e al consumo le responsabilità nei confronti della persona, della famiglia, della comunità”.

Il secondo è innovazione, “cioè la capacità di rinnovarsi, a partire dalla capacità delle persone. Rinnovare il prodotto, e qui si inserisce il valore aggiunto della qualità; il processo, e qui si inserisce il discorso della filiera, l’organizzazione, che significa anche federazione, Cia, confronto e scambio, condivisione di competenze e di studi. Interessante anche aprire nuovi mondi di impresa legati alla terra: gli agriturismi, la vendita diretta (km zero), la scelta biologica, le energie alternative che nascondo dalla terra e dalla sua lavorazione”.

Il terzo è sostenibilità: “Un’impresa non esula dal paese e dalla città, con le sue problematiche sociali in cui è inserita e dall’ambiente. Isolarla significherebbe creare non una risorsa, ma un problema. La sostenibilità chiede una comunità, una interrelazione. La sostenibilità chiede di non guardare solo alla produzione, ma alla generazione: anche un’impresa deve contribuire alla vita». Le ultime due parole sono imprenditorialità – «per una maggiore consapevolezza di custodire più che un prodotto un bene del creato” – e bene comune: “anche il mondo delle cooperative e delle imprese agricole non devono perdere di vista la collettività”. “E il bene comune chiede che al centro sia la persona e la sua dignità”.

Infine, mons. Perego ha riflettuto come “se sul piano economico il compito del mondo delle cooperative agricole è quello ancora di contrastare ‘lo strapotere del capitalismo’”, come ha scritto Cafaro in ‘Una cosa sola’. La Confcooperative nel secondo dopoguerra: cenni di storia (1945-1991)’, “sul piano organizzativo sono chiamate a valorizzare nuovi soggetti, persone e famiglie, anche provenienti da altri Paesi”, sperimentando quindi “una cooperazione agricola interculturale” e sul piano sociale aiutando “a rigenerare i nostri borghi agricoli, che stanno morendo”.

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