
In una foto del 2019, le ricercatrici Unife Chiara Tupini, Elisabetta D’Aversa, Ilaria Lampronti (PI del progetto) e Lucia Carmela Cosenza
La fibrosi cistica è la malattia genetica grave più diffusa tra le popolazioni europee e del nord America. In Italia, secondo gli ultimi dati del Registro Italiano Fibrosi Cistica (Rifc) al 2017, i malati sono 5565. Fino a pochi anni fa nascere con la fibrosi cistica significava non superare l’età scolare, dal momento che la malattia compromette gravemente l’attività di organi vitali come polmoni, vie respiratorie e intestino. E anche se oggi l’aspettativa di vita è migliorata, grazie all’affinamento della diagnosi e dei trattamenti farmacologici, la strada per sconfiggere la malattia è ancora lunga.
All’Università di Ferrara il team di ricerca della professoressa Ilaria Lampronti, in collaborazione con i colleghi di altri Atenei, sta studiando nuove molecole di sintesi che potrebbero esercitare un’azione antinfiammatoria e, contemporaneamente, correggere la mutazione più diffusa che causa la malattia.
«Le cure a cui i pazienti si sottopongono oggi – spiega Lampronti – sono basate sull’utilizzo di farmaci che agiscono sui sintomi: antinfiammatori classici steroidei e non steroidei, antibiotici per combattere le infezioni polmonari e agenti che fluidificano le secrezioni. La ricerca sta cercando di individuare nuove strategie non solo per affrontare i sintomi ma anche per curare la malattia. Quando si verificano le mutazioni sul gene della fibrosi cistica, le funzioni dell’omonima proteina diminuiscono o si perdono. Di conseguenza, si ha un’alterazione delle secrezioni nell’organo che si disidratano, appaiono più dense e viscose e portano al danneggiamento dei tessuti».
Il nuovo studio Unife si pone l’obiettivo di agire “alla radice” del problema, cioè di correggere il difetto causato da alcune mutazioni sul gene, utilizzando una nuova molecola di sintesi molto promettente. La speranza è che, in futuro, essa possa trasformarsi in una vera e propria strategia terapeutica.
«Il potenziale farmaco è stato sintetizzato nei laboratori di ricerca della professoressa Adriana Chilin dell’Università di Padova, partner in questo studio” chiarisce Ilaria Lampronti, e aggiunge: “La molecola è stata selezionata alla luce di alcuni risultati preliminari molto promettenti, ottenuti con studi su modelli cellulari e in un modello murino di fibrosi cistica sviluppato in collaborazione con il gruppo di ricerca della dottoressa Alessandra Bragonzi del San Raffaele di Milano».
Fondamentale, infine, anche la collaborazione del professor Giulio Cabrini e delle dottoresse Maria Cristina Dechecchi e Anna Tamanini dell’Ospedale Civile Maggiore di Verona: «Come si sperava, la molecola è risultata essere anche priva di effetti collaterali potenzialmente dannosi», conclude Ilaria Lampronti.
Il progetto Ffc#22/2019, “Valutazione multitasking di analoghi della Tma come agenti antinfiammatori per il trattamento della fibrosi cistica”, di cui Ilaria Lampronti è stata coordinatrice e Adriana Chilin partner, è l’ultimo di una serie di grant Ffc volti allo studio della Trimetilangelicina (Tma), tra cui vanno citati i progetti Ffc#1/2016 della professoressa Chilin e Ffc#3/2016 del professor Roberto Gambari.

Un momento dell’attività sperimentale che si svolge nella Sezione di Biochimica e Biologia molecolare del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie di Unife
L’identificazione della Tma, il suo perfezionamento e la riduzione della sua tossicità nasce in un interessante crocevia tra due linee fondamentali della ricerca promossa e finanziata dalla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica onlus – l’infiammazione e il difetto di base della malattia – che ha dato risultati molto promettenti anche per quanto riguarda altre molecole innovative.
L’importanza di questo ultimo studio è data dall’azione di un unico composto derivato da Tma sia sull’infiammazione, una delle principali complicanze della malattia, sia sulla proteina difettosa, conseguenza della mutazione del gene Cftr, in particolare la mutazione F508del, che è la più frequente.
«Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica – dichiara Graziella Borgo, neodirettore scientifico Ffc – si augura che la nuova molecola concluda il percorso di ricerca preclinico per approdare a quello clinico e portare un innovativo contributo terapeutico alle persone con questa malattia».
Oltre al contributo di Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica (Ffc), che in 10 anni ha elargito più di 300 mila euro per promuovere questi studi, il progetto è stato finanziato anche grazie a Fondi di Ateneo per la Ricerca.
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