L'inverno del nostro scontento
18 Gennaio 2021

Perché è importante tornare alla scuola in presenza

di Girolamo De Michele | 6 min

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Questa mattina riapriranno, al 50% e in sicurezza, le scuole superiori dell’Emilia-Romagna, in forza di un decreto del T.A.R., che ha accolto il ricorso presentato da un gruppo di genitori. È un evento importante, sul quale è bene che tutte e tutti riflettano con attenzione.

1. Che cosa ha detto il T.A.R.?

Riporto qui, con il solo intervento della sottolineatura di alcuni passaggi, le parole del Tribunale (l’originale è qui).

a) nel provvedimento de quo [della regione Emilia-Romagna] non vi è riferimento a dati o indici specificatamente e univocamente attinenti al settore della scuola secondaria di secondo grado;
b) ove avvenuta, la rilevazione della situazione epidemiologica da cui trarrebbe linfa la qui contestata misura si riferirebbe comunque ad un periodo temporale durante il quale le scuole secondarie erano chiuse da tempo;
c) non sono indicati fatti, circostanze ed elementi di giudizio che indurrebbero ad un pronostico circa un più che probabile incremento del contagio riferibile all’attività scolastica in presenza nelle scuole secondarie di secondo grado;
d) che in ogni caso neppure è ventilata l’ipotesi secondo cui il virus si diffonderebbe nei siti scolastici distribuiti sul territorio regionale più che in altri contesti;
e) l’ordinanza regionale va immotivatamente (e in definitiva ingiustificatamente) a comprimere in maniera eccessiva (se non a conculcare integralmente) il diritto degli adolescenti a frequentare di persona la scuola, quale luogo di istruzione e apprendimento culturale nonchè di socializzazione, formazione e sviluppo della personalità, condizioni di benessere che non appaiono adeguatamente (se non sufficientemente) assicurate con la modalità in DAD, a mezzo dell’utilizzo di strumenti tecnici costituiti da videoterminali (di cui peraltro verosimilmente non tutta la popolazione scolastica interessata è dotata);
f) l’attività amministrativa di adozione di misure fronteggianti situazioni di pur così notevole gravità non può spingersi al punto tale da sacrificare in toto altri interessi costituzionalmente protetti;
g) d’altra parte [nella] necessità di evitare assembramenti e sovraffollamenti, l’Amministrazione [regionale] può agire con misure che incidono, “a monte” sul problema del trasporto pubblico di cui si avvale l’utenza scolastica e “a valle” con misure organizzative quali la turnazione degli alunni e la diversificazione degli orari di ingresso a scuola.

2. Perché la scuola deve riaprire, a fronte di altre chiusure?

Chiedersi perché la scuola dovrebbe avere priorità rispetto ad altri settori, equivale a chiedersi a cosa serve la scuola: la risposta alla prima domanda dipende da quello che si risponde alla seconda. La strategia migliore per eliminare il virus sarebbe chiudere tutto, ma proprio tutto, per due mesi: ma è una strategia che eliminerebbe il problema uccidendo il paziente. Qualcosa è necessario tenere aperto, a qualcosa si può, per costrizione, rinunciare. Si può tenere chiusa per qualche mese qualsiasi cosa: scuole, fabbriche, stadi, discoteche, bar, ristoranti, reparti di pronto soccorso, piste da sci, chiese, saloni di massaggi e manicure, parchi pubblici… Perché la scuola no?
Se la scuola è solo trasferimento di pacchetti di informazioni ed elaborazione di riassunti a partire dalla rete, la si può fare a distanza. Se insegnare significa accendere una passione, creare relazioni fra soggetti che imparano l’arte della cooperazione, imparare dai propri errori tanto quanto dai propri successi, sviluppare il pensiero divergente, scartare di lato invece che seguire la strada segnata, pensare differente, imparare a imparare: allora la scuola deve svolgersi in presenza e in relazione, oltre che in sicurezza.
Nella società della conoscenza e del capitalismo cognitivo non solo le braccia e i muscoli, ma l’intero intelletto è messo al lavoro; in ogni momento della nostra giornata usiamo l’intelletto (anche con un semplice clic sullo smartphone) per mettere in moto una produzione di valore: che sia l’ordine della pizza che ci porterà il rider, o la finestra pubblicitaria che affianca il nostro spazio sui social mentre raccontiamo la serie che abbiamo visto due ore prima. Potenzialmente, il nostro intelletto è al lavoro per l’intera giornata, all’interno di una rivoluzione del mondo del lavoro che genera livelli di sfruttamento enormi: sono sotto gli occhi di tutti le nuove professionalità (dai rider sfruttati dalle varie Deliverroo alla logistica modello-Amazon che ci permettono di stare “in sicurezza” a casa…) nelle quali l’intera giornata lavorativa viene svenduta per pochi spiccioli. L’esaltazione tecnocratica che si legge e si ascolta per (cito) i nuovi orari inconsueti in cui si è svolta la DaD “da cui non si potrà tornare indietro”, il superamento della scansione “dello scorso secolo” istruzione/lavoro/pensione in favore di una “istruzione digitale lunga tutta una vita”, a cos’altro alludono, se non all’intelletto messo al lavoro h 7/24?
Ma è anche vero che questa forza lavoro che è la capacità intellettuale, anche quando viene venduta per un salario, non viene persa da chi la possiede. Nella qualità dell’intelletto, nella sua capacità di riflessione, resistenza, innovazione, creatività sta la differenza fra l’asservimento e il farsi da sé, fra l’obbedienza e l’autonomia dei processi di soggettivazione: se questo è vero, allora nella qualità della scuola (senza pretesa di esclusività) è messa in gioco la possibilità di una vita futura da suddit* piuttosto che da cittadin*. La priorità di una scuola di qualità, in presenza, relazione e sicurezza dipende e discende da tutto questo: le gerarchie fra cosa si deve riaprire e cosa no fanno segno non ai banchi a rotelle e alle ciaspole, ma quale futuro vogliamo abitare.

Postilla: il complotto-Covid

Cito due eventi, che sembrano non avere relazione fra loro, né con la scuola.

Il primo è l’assalto dei più esaltati ed estremisti fra i seguaci di Trump. Al di là del facile umorismo sul loro abbigliamento che ricordava YMCA e i Village People, quegli esaltati, adepti della setta QAnon, sono convinti che il Covid non esista: che sia una falsa notizia, un false flag creato dalla “Kabbala di banchieri, ebrei e pedofili” che governa nascostamente il mondo attraverso un fantomatico e segretissimo deep state. Ecco perché fra loro c’era chi inneggiava ad Auschwitz, ecco perché erano privi di misure di sicurezza (ed ecco perché nei comizi di Trump ci sono stati 30.000 contagiati, che hanno causato 700 morti).

Il secondo è un’opinione (*non* uno studio) comparsa su un giornale medico britannico. L’opinionista P.D., un ricercatore a contratto che si occupa sì di farmaci, ma in relazione agli aspetti economici e commerciali – non biomedici –, che non ha in curriculum né una laurea in medicina, né la frequentazione di laboratori di ricerca (è laureato e addottorato in antropologia e storia), con l’estremizzazione di un caso limite irrealistico e un argomento paradossale (=”se fosse così, se ne dovrebbe dedurre che”: periodo ipotetico dell’improbabilità) chiede una maggiore trasparenza sui dati (principio peraltro giustissimo).
Questa opinione, attraverso alcuni siti mascherati da organi di stampa subito rilanciati dai negazionisti, è diventata “uno studio del n. 1 dell’immunologia britannica” che denuncia essere l’efficacia dei vaccini inferiore al 50% (se volete dettagli, qui la sbufalatura, qui un pregresso esame delle opinioni passate di questo presunto esperto).

Cosa c’entra la riapertura delle scuole?
C’entra: la scuola è la linea che unisce i puntini. Perché combattere le affermazioni di negazionisti e complottisti è uno dei compiti della scuola. Una scuola dimezzata, a distanza, impotente è una scuola che lascia spazio a questi criminali, perché non ha strumenti per combatterli. Una parola forte, “criminali”? Pensate a quei 700 morti – che magari non erano il nazi-QAnon presente al comizio, ma l’anziano inconsapevole che ha contagiato tornando a casa, o il poveraccio che ha fatto la fila accanto a lui al drugstore. Guardate l’immagine di quel nazista seguace di Trump con la felpa “Camp Auschwitz” e chiedetevi: è quello che volete diventino le nostre studentesse e studenti – è quello che volete diventare voi?

La conclusione la lascio a un bambino sardo di 12 anni, che scrisse queste parole in un tema indirizzato a un ipotetico compagno di classe che lasciava la scuola: «Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia». Quel bambino era Antonio Gramsci.

 

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