Lettere al Direttore
18 Marzo 2020

Coronavirus e riflessioni al balcone

di Redazione | 4 min
I coronavirus sono degli esseri molto piccoli che visti al microscopio assomigliano ad una pallina sulla quale spuntano dei chiodini molto simili ai chiodi di garofano, a vederli sembrano innocui e dall’aspetto simpatico. Dei microbi così piccoli stanno sconvolgendo la nostra vita.

Ci hanno reso consapevoli della angoscia che si cela dietro ad un futuro vuoto e buio e senza alcun appiglio sicuro. Non è un vero e proprio pericolo poiché Essi non si vedono ad occhio nudo proprio come i terroristi nascosti e camuffati tra le folle.

Assistiamo ogni giorno alla cronaca  ora per ora del mefistofelico microbo, intervallata da voci e musiche pubblicitarie macabre e dissonanti come le orchestrine di Auschwitz. Le ansie che si inoculano dentro di noi variano dalla paura di essere contaminati alla paura di perdere il lavoro, alla sensazione di perdita delle nostre abitudini e libertà con una serie di rigidi divieti messi in atto dal governo a beneficio della salute pubblica e a sacrificio delle nostre libertà individuali. Questi nuovi virus sono un effetto collaterale della globalizzazione. Si sono diffusi velocemente poiché questo sistema è fondato su un concetto di libertà ad esclusivo vantaggio del mercato.

La parola libertà evoca un contenuto di positivo significato ma tuttavia in questo momento storico essa ha assunto un valore completamente diverso. Libertà nel mondo della globalizzazione significa nessun ostacolo alla circolazione di merci e persone.
Non significa libertà di espressione, di scelta ed anche libertà di sperare di realizzare un mondo altro da questo che ci viene subdolamente ed inconsciamente imposto come il solo ed unico mondo possibile.
Il microbo con la corona di spine ci ha insegnato quanto sia efficiente la natura la quale non è né buona né cattiva ma semplicemente crudele e spietata ed ha provocato una falla nel sistema della tecnica dominato appunto da una efficenza che non valuta l’umanità ma solo il mercato

La virulenza ha reso uguali per sorte i ricchi come i poveri perché non risparmia nessuno. L’austerità impostaci ci ha portato a conoscere noi stessi come mai prima d’ora, le nostre dipendenze, le nostre futili esigenze che il mercato ci ha fatto sembrare vitali, ora si riducono a pochi bisogni per il soddisfacimento dei quali ci è permesso uscire,  tra questi si annovera cibo, informazione e sigarette.

Ci spaventa il silenzio ed il suono puro ed etereo della natura, qui chiusi nella nostra isba come anacoreti dotati però di tv tablet smartphone dai quali apriamo il rubinetto per bere un mondo che ci viene servito già confezionato, frazionato in tante realtà che ci passano davanti così velocemente da non riuscire a pensare cosa è davvero vero e cosa è opinione, cosa è serietà non seria e cosa invece è seria non serietà, costantemente sommersi da immagini che ci tolgono la facoltà di pensare.

Ora, gli altri, che un tempo chiamavamo loro, i disperati sui barconi, le vittime delle guerre e delle povertà ora siamo noi, per la prima volta protagonisti di questa miseria. Prima era l’altrove, ora quell’altrove è qui, adesso.

Microscopica come l’essere corona, è la divulgazione di una cronaca che omette di raccontare un tempo carico di senso cioè la Storia, la quale ci sta piombando addosso senza possibilità di scelta, poiché è un dato certo che  il tempo del vietato vietare è già passato, ora scorre come un fiume non ancora arrivato all’oceano, il tempo del superamento di qualsiasi limite, nel quale manca uno scopo perchè si è passati dall’agire che prevede un fine, al fare che prevede soltanto efficienza rispetto alla mansione assegnataci e nel fare, perché noi siamo homo faber, aspettiamo soltanto la fine della nostra giornata lavorativa e la paga a fine mese e nel tempo ludico siamo al servizio del consumo in tutte le sue più disparate manifestazioni, acquisto di merci per le quali chiediamo prestiti od usiamo le comode revolving card, giochi d’azzardo o relax nei centri benessere.

Siamo consumatori ed al tempo stesso consumati, siamo coloro che garantiscono l’esistenza e la continuità del ciclo produttivo, ed ora qui nel silenzio delle nostre stanze ci troviamo improvvisamente senza uno scopo che suona come una mancanza, sorda e cieca come l’assurdo, come la caligine che copre le nostre vite.

Paola Saetti

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