(articolo modificato rispetto alla pubblicazione iniziale*)
Un processo a carico di un avvocato “per un reato che non c’è” – nelle parole dello stesso pubblico ministero – ma che pure è stato celebrato, conducendo sì alla piena assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto, ma scoperchiando al contempo il vaso di Pandora della caserma dei carabinieri di Comacchio.
È una vicenda strana quella in cui è rimasto suo malgrado incastrato l’avvocato Salvatore Mirabile, che risale al 2016, ma che affonda le radici più indietro nel tempo, cinque anni prima almeno, quando l’Arma comacchiese è stata sconvolta da una faida interna.
Quel che ne emerge oggi, al termine del processo, è “un quadro davvero desolante – sono ancora parole usate nella requisitoria dal pm Andrea Maggioni – con tratti da spy story boccaccesca e con qualche venatura para mafiosa”.
L’accusa. Il legale nel 2017 è stato accusato e portato a processo dall’allora pm di Ferrara Giuseppe Tittaferrante di rivelazione del segreto d’ufficio e di aver violato il codice della privacy e le norme deontologiche diffondo tale segreto. In altri termini: Mirabile sarebbe venuto a conoscenza in maniera illecita, facendo credere a un funzionario della Procura di avere un mandato da difensore della parte offesa senza che fosse così, dell’iscrizione nel registro degli indagati dell’allora capitano Luca Nozza, ex comandante della Compagnia e del suo vice, l’allora tenente Andrea Coppi, oggi capitano e comandante a Comacchio, entrambi costituitisi parte civile.
I due erano stati denunciati nel maggio del 2016 da un idraulico che stava eseguendo dei lavori in un appartamento di Nozza e che affermava, allegando anche una registrazione eseguita con il telefonino dal figlio, di essere stato minacciato dai due carabinieri per proseguire i lavori senza avanzare ulteriori pretese di tipo economico (il fatto è oggetto di un separato giudizio che vede Nozza imputato per violenza privata). Sempre secondo l’accusa, Mirabile avrebbe poi dato la notizia dell’iscrizione a un altro carabiniere, Giuseppe Siliberto, che tempo prima era stato denunciato da Coppi per abuso d’ufficio (e per questo allontanato dalla città lagunare) per aver affittato l’appartamento di servizio e difeso nel relativo giudizio (fino all’assoluzione) proprio da Mirabile. Siliberto poi avrebbe dato la notizia a un altro carabiniere, facendola poi circolare all’interno della Compagnia, arrecando danno all’immagine e alla reputazione dei due vertici locali dell’Arma.
Avvocato innocente. L’istruttoria dibattimentale ha dimostrato che la realtà sia stata ben diversa e che le accuse fossero del tutto infondate. A detta del pm, che ha chiesto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, essendo tutto scaturito da una denuncia con nomi e cognomi scritti e noti e i fatti circostanziati, non c’era alcun segreto nell’iscrizione nel registro degli indagati che, anzi, “era un atto dovuto”. Soprattutto non è stata affatto dimostrata alcuna condotta illecita di Mirabile, che invece, al massimo con qualche pasticcio con i documenti, era pienamente legittimato ad agire come avvocato dell’idraulico (lo è tuttora), presentatogli proprio da Siliberto per assisterlo in quella vicenda.
Il tribunale in composizione collegiale (presidente Piera Tassoni, a latere Giulia Caucci e Costanza Perri) è stato meno tranciante e ha assolto Mirabile “per non aver commesso il fatto” con la sentenza emessa giovedì 31 ottobre: per i giudici, dunque, la fuga di notizie si sarebbe verificata, ma senza che l’avvocato vi fosse coinvolto (motivazioni a 90 giorni).
La spy story tra carabinieri. Ma questo processo ha portato allo scoperto qualcos’altro, che è quantomeno nebbioso e riguarda le passate dinamiche interne alla Compagnia dei Carabinieri della città dei Trepponti. È “un quadro – lo descrive il pm in requisitoria – che mi crea molto disagio e un po’ di rabbia perché immagino questi carabinieri che dedicano parte del loro tempo non al lavoro istituzionale, bensì a queste trame più o meno boaccaccesche o para-mafiose”. È una strana spy story che si gioca in mezzo ai fin troppo lunghi tempi con cui il fascicolo – anche questo in mano all’ora pm estense Tittaferrante – passa da ‘a carico di ignoti’ (modello 44) a ‘a carico di noti’ (modello 21).
Cronologicamente succede più o meno questo: il 13 maggio 2016 l’idraulico si reca in Procura accompagnato da Siliberto e deposita la denuncia, la cui bozza è stata corretta da Mirabile. Il 23 agosto viene aperto un fascicolo a carico di ignoti che tale rimane fino al 10 di novembre. Nel frattempo Mirabile, probabilmente su suggerimento di Siliberto, notando che ancora nulla si muove, prepara un’istanza che viene mandata con lettera raccomandata il 25 ottobre alla Procura militare di Verona e al comando generale dei carabinieri. Una richiesta di chiarimenti su tale istanza arriva il 9 novembre dalla Procura militare al comando provinciale, che subito si muove e interessa la Procura cittadina. Il 10 novembre, non a caso, il fascicolo diventa finalmente un modello 21: Nozza e Coppi sono indagati per violenza privata. L’11 novembre vi sarebbe la rivelazione del presunto segreto e il 14, senza che nessun atto d’indagine venga compiuto – e dunque non vi sia di fatto proprio alcun segreto da tutelare – il pm chiede l’archiviazione (che dopo l’opposizione presentata da Mirabile per conto dell’idraulico verrà concessa solo per Coppi, mentre per Nozza si arriverà all’imputazione coatta, ndr).
Carabinieri che si intercettano tra loro. Il 10 e l’11 novembre sono due date chiave. Un altro carabiniere in servizio a Comacchio, Andrea Giordano, si fa chiamare in un caso e viene chiamato spontaneamente nell’altro da Siliberto al telefonino. Quest’ultimo non sa che quel dice è registrato dal suo collega e che le registrazioni finiranno nelle mani di Coppi, poi del comando provinciale dei carabinieri e infine in Procura.
Nella prima occasione Giordano gli dice che Coppi è su tutte le furie, perché è arrivato un altro esposto. È il periodo degli esposti anonimi, delle denunce interne, coda lunga della storia del filimino goliardico girato in caserma e di una sorta di faida interna che porterà all’allontanamento di diversi militari. Siliberto dice che non ne sa nulla, che lui non c’entra. Giordano allora gli dice che lo ha saputo da un altro carabiniere, a sua volta informato dallo stesso tenente. Allora Siliberto s’illumina: “Non è l’esposto, è la denuncia, la denuncia che ho fatto io, cioè [l’idraulico]”. L’11 novembre, alle 10.40 del mattino (ricordatevi l’orario), Siliberto chiama Giordano e gli dice che ha capito cosa è: Nozza e Coppi “indagati per estorsione” (ma nessuno dei due è mai stato indagato per questo reato in realtà, ndr).
Atti alla Procura. Ma perché Giordano stava registrando? Perché glielo aveva chiesto Coppi, il suo superiore. Lo ha più o meno ammesso lo stesso ufficiale quando è stato sentito come testimone, citando il clima poco sereno dei tempi, e anche lo si desume da quanto afferma Giordano in una chiamata fatta a Siliberto e questa volta da lui registrata. Per questo fatto – per le modalità con cui sarebbe arrivata la richiesta, forse prospettando conseguenze spiacevoli per Giordano, come un possibile trasferimento in altra sede – il pm ha chiesto e ottenuto dal tribunale che vengano trasmessi gli atti alla Procura per valutare l’eventuale commissione di reati da parte dell’ufficiale.
Quelle conversazioni il 16 novembre vengono portata alla conoscenza di Coppi che chiede che ne venga redatta un’annotazione – forse scritta addirittura dal suo computer di servizio – e poi tutto viene mandato al comando provinciale dei carabinieri, e da qui passano alla procura che apre l’indagine a carico solo dell’avvocato, nonostante le telefonate stesse fossero indicative quanto meno della compartecipazione di altri soggetti alla diffusione del presunto segreto.
Coincidenze da spy story. Ma c’è ancora un intreccio incredibile di orari e azioni degno davvero di una spy story che salta all’occhio. Sempre nel fatidico 11 novembre, secondo quanto ricostruito dalla difesa, dal Comando provinciale dei carabinieri parte la richiesta di verificare in che stato sia il fascicolo relativo alla denuncia presentata dall’idraulico. Viene mandato un militare in Procura munito di autorizzazione per accedere al relativo sistema informatico da un’apposita postazione. Visualizza che adesso Nozza e Coppi risultano formalmente indagati. Secondo quanto emerso in istruttoria il militare però non ha le autorizzazioni sufficienti per sapere anche per quale reato, né per stampare una copia del fascicolo. Sa solo che c’è un’indagine.
Sono le 10,31 di mattina dell’11 novembre 2016. Alle 10,33 una dipendente della procura – oggi non più in servizio – accede informaticamente allo stesso fascicolo e visiona la qualificazione giuridica del fatto. Secondo quanto ha affermato in aula, lei non aveva a che fare con gli avvocati, ma solo con la polizia giudiziaria. Eppure, nella originaria ricostruzione accusatoria, sarebbe stata proprio lei la ‘vittima’ dell’inganno di Mirabile il quale, nel frattempo, alle 10.36, avrebbe chiamato Siliberto per svelargli tutto in diretta e questo a sua volta avrebbe svelato tutto a Giordano con la chiamata delle 10,40.
Ma ecco un altro nodo, l’ultimo di questa complessa ricostruzione: l’interrogazione della dipendente della Procura al sistema informatico si chiude solo alle 10.48 e copia cartacea dell’intero fascicolo risulta essere stata consegnata quel giorno al Comando provinciale dell’Arma. La postazione della dipendente, rileva l’avvocato difensore di Mirabile nella sua arringa “sarà a circa 5 metri in linea d’aria dalla postazione del carabiniere”.
La strana, intricata storia di un processo che non si doveva fare.
*modifica delle 14.57 del 1° novembre 2019: è stato specificato meglio il significato della formula assolutoria anche in merito al giudizio del tribunale sulla sussistenza del fatto.