Politica
23 Maggio 2019
Secondo l'ex premier ci vuole più cooperazione. L'assessore regionale Bianchi: "Ci vuole una visione unitaria e più Europa"

Romano Prodi: “Per il futuro dell’Africa esportare una colla politica e infrastrutturale”

di Redazione | 3 min

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Quali sfide attendono l’Europa nei prossimi anni sulla questione Africa? Da questo interrogativo, nella sede del Dipartimento di Architettura di Unife, si è snodato un lungo dibattito, che ha messo al tavolo l’assessore Regionale Patrizio Bianchi e Romano Prodi, presidente della Fondazione per la collaborazione fra i popoli. Dopo i saluti del Rettore Giorgio Zauli e del direttore del dipartimento Alessandro Ippoliti, è Alessandra Guerrini, vicedirettore del Centro per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale, ad aprire le danze affermando che “l’Africa oggi è un continente in pieno fermento”.

Per tanti fattori, ma l’Europa non può certamente stare a guardare trincerandosi dietro una barriera naturale rappresentata dal mar Mediterraneo. Secondo Prodi, infatti, tutti i paesi europei dovrebbero agire di concerto sulla questione africana: “I singoli paesi fanno politica diversa, al contrario della Cina che agisce in 51 su 54 paesi africani. Non c’è politica coordinata, e quando si agisce sui singoli paesi non si fa un servizio allo sviluppo futuro. Il problema dell’aiuto è creare un mercato interno, e poi fare infrastrutture che sono del tutto insufficienti. Bisogna trasportare in Africa una colla politica e infrastrutturale”.

Queste le sfide principali secondo l’ex presidente del Consiglio, seguito da Bianchi secondo cui l’università gioca un ruolo importante sul tema, perché “la formazione è la chiave di volta, e noi siamo percepiti come un paese che può fornire tecniche educative”. Andare in Africa, formare persone africane, trasmettere conoscenze per quella gente è il concetto di base. “L’Ue – precisa Bianchi – spende ogni anno 97 miliardi di euro per la cooperazione con l’Africa, elemento che va tenuto insieme con i rapporti fra l’università, le istituzioni e la chiesa. Credo che sia ora di fare un salto e tornare a una visione unitaria dell’Africa”.

L’assessore, infatti, individua le lacune più grandi da questo lato del Mediterraneo: “Il problema non è l’Africa, ma l’Europa. Ci vuole più Europa, che torni a essere comune e non intergovernativa”. Ciò si ripropone anche quando si parla di flussi migratori. “Le migrazioni – riferisce Bianchi – dipendono dalle guerre, e il modo per mettere fine è fare una politica di pace, dal problema climatico, che va affrontato, e l’accelerazione dello sviluppo: bisogna fare piani per aumentare la formazione, tecnologia e la presenza delle nostre imprese per trasmettere conoscenze. Non lo facciamo noi? Lo fa la Cina”.

Su questo fronte Prodi ammette che, constatando il saldo fra nati e morti in Europa, “di immigrati noi ne abbiamo bisogno”, purché sia un’immigrazione “regolata”. Riprendendo le parole dell’assessore, bisogna cercare di porre fine ai conflitti in “Siria e in Libia che hanno sconvolto l’orizzonte”, ma anche tenere conto che “il Sahel è in una sofferenza politica impressionante, e il terrorismo sta conquistando terreno nell’Africa Subsahariana”.

Problemi che “si possono cercare di affrontare solo globalmente” dice Prodi. Magari stando maggiormente su quei territori. “Con l’Africa mediterranea dovremmo avere delle istituzioni comuni” spiega l’ex premier, che fa leva anche sulle nuove generazioni, e sulla trasmissione della conoscenza, proponendo “un Erasmus speciale per gli studenti africani”. Sul punto, Bianchi conviene: “Fare un piano delle università che ci permetta, su alcune aree africane, di sperimentare operazione in cui gli studenti possano fare un po’ di anni qua e un po’ là potrebbe essere d’aiuto, ma occorre sempre avere relazioni continuative”. 

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