Il quotidiano Avvenire ha pubblicato il 29 marzo, con i risultati di un’indagine su 107 città italiane, la prima edizione di una Ricerca della ‘Vita Buona’. Non valuta solo grandezze economiche, anche indicatori qualitativi: demografia e famiglia, salute, impegno civile, ambiente turismo e cultura, servizi alla persona, legalità e sicurezza, lavoro, inclusione economica, capitale umano, accoglienza.
C’è pure la curiosa ‘Generatività’, strumento di lettura del Ben-Vivere nella capacità d’incidere sulla vita degli altri e la responsabilità sociale dei territori. E infine l’indicatore Bene Comune che lega la vivibilità alla responsabilità di tutti, nel raggruppamento detto ‘Responsabilità Civile’.
Ma – sorpresa! – ricalcando l’andamento nelle solite classifiche, anche in queste tre graduatorie innovative, su 107 posizioni Ferrara si piazza in posizione medio-bassa:
Ben-Vivere – pos. 57; Generatività – pos. 82; Responsabilità Civile – pos. 62.
Se i giornali evidenziassero a colori le appartenenze geografiche balzerebbe all’occhio che Ferrara, unica delle città color ‘Italia Settentrionale’, si piazza immancabilmente fra le città color ‘Italia Meridionale’. Così constatiamo che anche in questa inconsueta graduatoria Ferrara si colloca ancora al sud, ulteriore prova che la nostra città, nota per scarsa imprenditorialità, pigrizia, pendolarismo di massa, staticità politica, apatia compartecipativa, cultura salottiera, è .. terrona. Strano? Non tanto. Si fecero ponti d’oro a Graci per consentirgli di edificare un gigantesco alieno palaspecchi.
Nel petrolchimico, trasformato d’imperio in acquirente d’energia a caro prezzo privandolo di auto produzione elettrica e vapore spillato, mancò pure l’ombra del dissenso fra i suoi tanti lavoratori.
Hera fa guadagni strepitosi con i servizi che dovevano restare di esclusivo monopolio municipale.
Dove si verifica, di solito, un andazzo simile? Inevitabile, allora, ricordare che solo il ferrarese Bassani ha potuto riconoscere il valore letterario del Gattopardo. Forse perché per cogliere un certo tipo di declino, misto di rassegnazione e illusorio orgoglio riassunto nella frase: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, serve una sensibilità meridionale. O ferrarese.
Perciò anche qui, rispettando il paradigma delle sceneggiate politiche, bisogna che tutto cambi se vogliamo che tutto rimanga com’è. Ma si sa bene come fare, non avendo fatto altro dal dopoguerra.
Paolo Giardini