Attualità
27 Gennaio 2019
Un viaggio drammatico per riportare a casa la salma del figlio morto in un campo di concentramento

Il coraggio di nonna Teresa, da Bova di Marrara alla Germania

di Redazione | 2 min

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di Lucia Bianchini

Rompere il silenzio sulla storia degli internati militari italiani, soldati che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 furono deportati: questo il proposito di Silvia Pascale quando ha iniziato a studiare il memoriale di Teresa Mascellani Zerbini, nonna di suo zio, che raccoglie la storia della sua lotta per riportare in Italia la salma del figlio ventiquattrenne morto in un campo di concentramento in Germania.

Come ha raccontato la studiosa sabato 26 gennaio al Museo del Risorgimento e della Resistenza, in occasione della Giornata della Memoria, dopo l’armistizio, si legge nei diari dei soldati, essi si aspettavano di tornare a casa.

Altro era il progetto di Hitler, che diede loro la possibilità di entrare nell’esercito della Repubblica sociale Italiana, ma pochi aderirono per disperazione, tutti gli altri furono deportati in campi di lavoro in Germania dedicati esclusivamente ai soldati. Hitler fece questa deportazione di massa perché aveva bisogno di uomini che lavorassero per l’industria bellica tedesca e gli internati militari erano manodopera a costo zero.

I soldati furono quindi destinati direttamente al lavoro coatto: “Erano definiti ‘gli schiavi di Hitler’ – ha sottolineato Silvia Pascale -, inoltre gli italiani erano considerati dei traditori e la propaganda tedesca imponeva a chi li incontrava di insultarli in ogni modo, un insulto riferibile è ‘Badogliani Porci’, e addirittura di sputar loro addosso”.

Anadage Zerbini nel 1943 era a Bressanone, dislocato sul confine, quindi fu uno dei primi ad essere deportato, il 9 settembre, e fu mandato al campo di Limburg, come riportato sulla sua carta di internamento. Dopo poco però si ammalò e fu trasferito al ‘lazzaretto’, dove morì per edema polmonare il 19 gennaio 1944.

“Quando Teresa viene a sapere della morte del figlio impazzisce per il dolore. Finita la guerra parte per andare dove è sepolto il figlio – racconta la Pascale-. Impiega ben cinque anni per ottenere i documenti per andare all’estero, e parte da Bova di Marrara per la Germania, da sola, senza sapere una parola di tedesco e con pochissimi soldi. Incontra sul suo cammino molte persone che la aiutano e arriva sulla tomba del figlio, dove mette una foto e il nome”.

Il memoriale di Teresa inizia nel 1940 alla partenza di Anadage per la guerra e termina nel 1957, quando grazie all’aiuto di Lore Wolf e dell’associazione Vvn, che si occupa delle vittime del nazismo, riesce a far tornare in Italia la salma del figlio.

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