Eventi e cultura
31 Ottobre 2018
Presentato il libro di Susanna Garuti sulle donne lavoratrici durante gli scioperi agrari del Novecento

Rina Melli, la Giovanna d’Arco ferrarese ai tempi del “capitalismo organizzato”

di Redazione | 3 min

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Contadini, braccianti con la paura di rimanere senza terra, miseria, malaria e analfabetismo, riservato quasi esclusivamente alle donne. La Ferrara degli inizi del Novecento sembra apparentemente distante da quella dei giorni nostri. Eppure, è sconcertante l’attualità che si legge fra le righe di ‘Eva’, il primo giornale socialista al femminile che la giornalista ferrarese Rina Melli mette al mondo nel pieno dello scontro fra “uno dei settori agrari più rilevante d’Italia”, e il “capitalismo organizzato” di uno Stato liberale ma al contempo autoritario.

Di ‘Eva’ “abbiamo conservato dei microfilm” rivela Anna Quarzi dell’Istituto di Storia Contemporanea, presentando il libro ‘Come le donne diventeranno libere’ e l’autrice Susanna Garuti, con l’affiatamento di chi l’ha vista portare questo tema in tesi all’università. Lo stesso pathos che l’autrice sprigiona quando parla di una storia “d’altri tempi”, di una “figlia della borghesia ebraica ferrarese, che lascerà per sposare, giovanissima, il socialista Paolo Maranini, che il padre di Rina aveva oltretutto scelto come suo precettore”.

“Con lui andò a stare nel borgo San Luca, all’epoca la periferia della periferia, una città dentro la città”, racconta Garuti, prima della lettura, da parte di Sabrina Bordin, di una nota dell’allora Prefettura di Ferrara, che definiva Rina Melli ‘isterica’, pronunciandosi sul ‘dolore causato alla famiglia’ e denigrando il fatto che ‘il suo giornale fosse scritto quasi interamente da lei’. Un’accezione “diffusa quando si trattava di donne attiviste”, tanto che la stessa Melli dichiarò che “all’uscita del giornale i compagni mi derisero”.

Immancabile, all’incontro, la presenza di Udi (Unione Donne in Italia), ma anche del segretario generale Cgil Cristiano Zagatti, perché infondo “‘Eva’ non parla della donna in sé, ma della donna lavoratrice, in un’epoca in cui era il marito a tornare a casa da una conferenza e riferire alla moglie cos’era stato detto”.

Persino la stampa italiana all’estero (si cita ‘La voce del Popolo’ di San Francisco) definiva Rina Melli come “la Giovanna d’Arco del settore agrario”, riguardo la sua “capacità di ribaltare la situazione, andando sul campo, di notte”. Una vittoria che pose le basi, anche a livello nazionale, per “il patto che Mussolini strinse con gli agrari nel ’21, quando ancora il fascismo era solo un movimento, e che sarebbe stato un caposaldo per le nostre terre”.

Ma il fil rouge che unisce gli svariati temi di ‘Eva’ è il linguaggio, spiega l’autrice: “Un linguaggio semplice, fra cui quello del dialogo, spogliato da tutti gli orpelli comunicativi, che arrivi dritto all’intento educativo ed istruttivo”, quello del ‘socialismo umanitario’, in cui “c’è il diritto alla scienza e l’arte universale per tutti, e non qualcuno che li cala dall’alto”. Un linguaggio semplice che però non si fa sinonimo di ‘semplificazione dei contenuti’: e in una società odierna in cui “con due righe su Twitter si pensa di aver acquisito una nozione, e in cui sembra ci sia un elogio all’ignoranza”, come afferma Anna Quarzi, il titolo del libro, sottintende un futuro che forse non riguarda solo quello di Rina Melli.

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