di Cecilia Gallotta
Ferrara nell’ultimo anno ha registrato 29 casi di legionella per un milione di abitanti. Una delle provincie a maggior tasso in Emilia-Romagna, che a sua volta attesta l’infelice primato dell’intera penisola (25,8 casi su un milione nel 2015).
“Non sono ancora dati allarmanti”, rassicura la professoressa Annalisa Califano del Dipartimento di Sanità al convegno organizzato da Lilt presso le aule del Mammuth. Ma la preoccupazione c’è: non è un caso che “l’acqua calcarea che caratterizza il nostro territorio favorisca il formarsi della legionella”, e che la nostra regione abbia registrato il record, nel 2016, di 64 casi su un milione.
Un aumento vertiginoso rispetto a quasi vent’anni fa, quando nel ’99 si registravano appena 6 casi. Questo in realtà non è un indice totalmente negativo, poiché, come spiega Califano, “è sicuramente dovuto all’aumentare delle denunce, delle notifiche dei casi, estremamente utili al fine di poter effettuare un’indagine ambientale, ossia l’ispezione, da parte di ‘tecnici della prevenzione’, attraverso campionamenti d’acqua”.
Ad essere maggiormente colpiti sono gli uomini (32 casi maschili in regione nel 2017 contro i 13 femminili, stesso trend per Ferrara con 15 maschili e 7 femminili) e la fascia d’età si attesta su una media di 64 anni. La buona notizia è che l’86% dei casi – in regione – guariscono (a Ferrara l’82%) contro il 10% dei decessi (12% nella nostra città). Quella meno buona è che “siamo sì in grado di far sopravvivere di più – afferma la dottoressa Paola Antonioli – ma con più patologie, usiamo tecniche sempre più avanzate, ma sempre più invasive, affiniamo sempre più farmaci e siamo sempre più antibiotico-resistenti”.
Un’analisi realistica che pone di fronte al problema di una popolazione sempre più immuno-compromessa, e a quello delle Ica (Infezioni correlate all’assistenza) “che nessuno ad oggi può dire di aver risolto, anche a causa di mancanza di dati che le certifichino”. Ma soprattutto, a causa del mancato contenimento del fenomeno, che Antonioli auspica a partire da una politica di prevenzione, non solo da parte del singolo soggetto, legata quindi all’igiene personale e dell’ambiente, ma anche di controllo delle epidemie, e delle infezioni associate a processi invasivi o all’uso e alla somministrazione irresponsabile di antibiotici.
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