di Giuseppe Malatesta
Codigoro. Proseguono nel veronese le indagini sul caso di caporalato che ad aprile scorso avevano condotto all’arresto di Ahmed El Alami, 56 marocchino titolare di cinque società cooperative operanti tra Veneto ed Emilia. L’inchiesta emersa ad aprile scorso aveva toccato tristemente da vicino proprio la provincia estense, destinazione dei viaggi giornalieri che i giovani migranti sfruttati dall’uomo erano costretti ad affrontare per raggiungere capannoni e locali ad uso avicolo nel codigorese, dove svolgevano attività di facchinaggio e pulizie anche per 14 ore consecutive.
Le quotidiane trasferte dal veronese al basso ferrarese, su veicoli datati e non abbastanza capienti, costituivano solo una piccola parte della disumana giornata lavorativa che attendeva i ragazzi, che si svolgeva principalmente nel settore dell’allevamento di pollame e produzione di uova, spesso anche su doppio turno e senza alcun riposo settimanale.
Se il procedimento non imputa responsabilità alle aziende che si servivano dei servizi delle cooperative in capo a El Alami, la posizione di quest’ultimo appare piuttosto chiara e compromettente in base a quanto emerso dai documenti sequestrati dalle fiamme gialle di Soave (Vr). Come riporta l’ordinanza del Gip Raffaele Ferraro, ripresa dal quotidiano L’Arena, l’uomo aveva avviato la cooperativa Agritalia nel febbraio 2017, fissando la sede legale a Monteforte d’Alpone (sempre nel veronese), in realtà sua residenza, e assumendo 130 dipendenti per attività di supporto alla produzione animale.
Una perquisizione avvenuta a marzo scorso aveva portato alla luce i rapporti tra Agritalia e altre società agricole non coinvolge nelle indagini, rapporti suffragati da documenti che attestavano anche i bonifici destinati ai dipendenti, con riportata un compenso orario di 2,50 euro effettivamente mai retribuito.
La decisione di alcuni di loro di rivolgersi alla Guardia di Finanza ha permesso di scoprire un contesto molto più ampio di sfruttamento e caporalato. Sempre l’ordinanza del Gip permette di ricostruire, grazie alle testimonianze raccolte, una loro giornata tipo, con l’arrivo a Codigoro nel primo pomeriggio dopo un viaggio di oltre due ore e l’inizio di turni che duravano almeno fino alle 22 senza alcuna interruzione, talora fino al mattino successivo.
El Anami, secondo gli inquirenti, non ha agito per “sopravvenute difficoltà economiche”, ma “per preordinato intento di sfruttamento al massimo grado dei lavoratori”. A portare questi ultimi ad accettare condizioni simili erano invece l’assenza di altre fonti di reddito, nonché il desidero di mantenere economicamente le famiglie rimaste in Marocco. Mentre proseguono le indagini a suo carico, il ‘caporale’ permane agli arresti domiciliari a San Bonifacio (Vr).
Per Cristiano Pistone, segretario generale Flai Cgil Ferrara, quanto emerso “è un chiaro termometro della diffusione di un fenomeno da cui non siamo certo immuni, apparentemente ridotto rispetto ad altre zone del Paese, ma comunque presente anche nel ferrarese, nelle aree maggiormente vocate al settore primario”.
“Da tempo – prosegue Pistone – proviamo a denunciarlo, ahimè senza la collaborazione dei lavoratori stessi, da cui non giungono segnalazioni. Credo i tempi siano maturi per un intervento più incisivo: penso alla legge 199 sul reato di caporalato, che andrebbe secondo me declinata a livello territoriale, e alla creazione di momenti di incontro tra domanda e offerta di lavoro nel settore agricolo, per arginare fenomeni che non andrebbero sottovalutati e rischiano di esplodere. A Ferrara rappresentanze sindacali e datoriali hanno promosso un Osservatorio Agricolo Unico, limitato purtroppo nelle capacità ispettive che competono ad altri soggetti, ma attivo in campagne di sensibilizzazione”.
Pur di fronte ad un problema non dilagante – se non isolato, quanto meno apparentemente contenuto – un percorso sperimentale sul contrasto del caporalato potrebbe porsi come “uno strumento conoscitivo di un fenomeno che forse a volte ci sfugge nella sua dimensione reale”.
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