Nel giorno in cui Giorgia Meloni ‘cinguetta’ che “il reato di tortura impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro”, il Comune di Livorno approva la concessione della cittadinanza onoraria a Patrizia Moretti e Ilaria Cucchi, rispettivamente madre di Federico Aldrovandi e sorella di Stefano Cucchi, entrambe in prima linea nella lotta per i diritti umani.
La madre di Aldro, che già ottenne il medesimo riconoscimento dal Comune di Bologna nel 2013, riceverà la cittadinanza onoraria anche del capoluogo toscano.
La proposta, approvata praticamente all’unanimità dal consiglio comunale nella seduta del 12 luglio ad eccezione di tre consiglieri che non erano presenti in aula al momento della votazione, viene da Andrea Raspanti, leader della sinistra con il gruppo misto Futuro.
Una testimonianza di civiltà “quanto mai tempestiva” commenta Raspanti, da sempre attento ai casi di abusi di potere che hanno luogo in carcere e non solo, nel giorno in cui l’esponente di Fratelli d’Italia posta un tweet quantomeno controverso per annunciare la proposta di legge per modificare il reato di tortura.
Un gesto ancora più simbolico dopo che la politica bolognese si è spaccata sulla proposta di intitolare il centro giovanile ‘il Meloncello’ a Federico, contrastata dalla Lega perché “Aldrovandi non è un martire”. Una dichiarazione talmente infelice da scatenare la reazione di papà Lino, in un lungo post su Facebook che vi proponiamo in maniera integrale.
“Quanta tristezza nel leggere certe spicciole affermazioni, ma non mi meraviglio di certa politica. Questo è. Federico non è caduto sotto i colpi del nemico, ma di qualcosa di peggio, ovvero sotto i colpi di chi aveva il dovere di proteggerlo, con l’aggravante, sebbene non avesse commesso alcun reato, che nell’impeto di quell’azione improvvida, ingiustificata e assurda, nessuno di quei 4 agenti, si fermò a quelle urla di “Basta e aiuto”, udite a centinaia di metri dal luogo dell’omicidio, ma non da chi lo stava uccidendo.
54 lesioni, la distruzione dello scroto, un’immagine agghiacciante di un agente che lo tempesta di calci mentre lui a terra è bloccato dagli altri tre, con frasi pronunciate dagli agenti del tipo: “l’abbiamo bastonato di brutto per mezz’ora”, oppure: “moderate ci sono le luci accese”, “ci vorrebbe la benzina qui…”
Federico martire? No di certo. Era solo un ragazzo che fu ucciso senza una ragione. La sua fede era la vita, erano gli amici, era il divertirsi, era il confrontarsi, era il crescere, era l’imparare, anche sbagliando. Ma quella mattina non fu lui a sbagliare.
“Imbarazzante”. Certo. Forse il goffo tentativo di mettere a tacere una delle tante ingiustizie di questa piccola Italia. Ma sono stanco di ripetere le stesse cose ai muri, e a queste persone dico loro soltanto di leggersi il libro di Fabio Anselmo “Federico”. Penso che alla fine non lo capirebbero comunque, ma forse, oltre ai muri, i loro figli si.
In politica a volte sono le persone a fare la differenza, a prescindere dal loro “colore politico”. E di queste persone, in tredici anni ne ho conosciute tante e posso affermare che non hanno mai strumentalizzato il nome di Federico. E che nessuno si è mai scagliato a generalizzare una categoria di lavoratori. Quello lo lascio agli ignoranti. Ma a puntare il dito sulle responsabilità individuali, quello si, sempre. Perché i figli sono di tutti. Un abbraccio vada a quelle persone per quell’atto d’amore e di rispetto, mentre alle altre… l’immagine della tomba di Federico con i suoi 18 anni dentro e con la terribile angoscia di un padre orfano”.
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