Attualità
26 Maggio 2018
Capannello di persone al Castello per il celebre cantautore cellinese. “Ferrara è una città da vivere”

Al Bano alla mostra Cavallini-Sgarbi: “Un tuffo nella cultura”

di Redazione | 2 min

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Il nome di Al Bano si sentiva già mormorare da alcuni visitatori all’imbocco del Castello, che prima delle 14 hanno formato un capannello fuori dalla biglietteria in attesa della sua uscita. Del resto il celebre cantautore cellinese non poteva non visitare almeno una volta la mostra de La Collezione Cavallini Sgarbi, “soprattutto dopo che ha seguito l’andamento fin dall’inizio anche a distanza” fa sapere Elisabetta, in attesa del fratello Vittorio per fare da ‘ciceroni’.

“Con gli Sgarbi ho un rapporto di amicizia – racconta Al Bano, arrivato in città poco prima di pranzo in compagnia dell’amico e magistrato Antonio Pasca -. Ho conosciuto prima Vittorio, fra gli eventi televisivi, ma quando Elisabetta chiama, io ci sono, come in questo caso. Questa mostra è un tuffo nella cultura, che non fa mai male: un tuffo nel nuovo per me, ma sicuramente straordinario. E Ferrara, è una città da vivere”.

Abbracci, baci, scatti e strette di mano all’arrivo di Vittorio, l’attesa del quale non è stata una novità nemmeno per Al Bano: “una sera mi chiamò Cossiga – racconta – dicendo che Sgarbi sarebbe arrivato al massimo alle dieci di sera. A mezzanotte non era ancora arrivato e io ero preoccupato, pensavo gli fosse successo qualcosa. Quando comparve all’una, mi dissero che era una cosa normale”.

Una visita che si rispetti non porta però la firma di Sgarbi senza gli immancabili aneddoti a luci rosse, tra le risa dei presenti e i sorrisi attoniti di Al Bano, che hanno sdrammatizzato il tour davanti alle opere di Cicognara e Previati, che ormai ne avranno ‘sentite’ di cotte e di crude.

Ma prima di tornare in madre patria pugliese all’indomani, è d’obbligo per Al Bano una visita alla ‘casa-museo’ a Ro Ferrarese in serata, o al “vittoriale padano” come è già stato definito da Franceschini. “Al Bano aveva conosciuto mio padre e voleva venirlo a trovare a casa, gliel’avevamo promesso – racconta Elisabetta -. E così, vista la sua improvvisa morte lo scorso gennaio, attraverso la mostra abbiamo voluto non solo fargli vedere le 130 opere, ma raccontargli la storia della famiglia, che auspico un giorno potrà diventare un museo permanente in città”.

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