Attualità
26 Febbraio 2018
L'adesione ad una forma di lotta non violenta e la fedeltà fino in punto di morte ai propri ideali di due grandi personaggi del Novecento italiano

Giacomo Matteotti e Alda Costa, il socialismo riformista tra Grande Guerra e fascismo

di Redazione | 3 min

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Cosa lega la figura di Giacomo Matteotti a quella di Alda Costa oltre alla militanza nelle file del Partito Socialista e al totale rifiuto del fascismo? L’adesione ad una forma di lotta non violenta e la fedeltà fino in punto di morte ai propri ideali democratici, egualitari e antibellici.

Proprio di queste somiglianze si è parlato nella conferenza svoltasi all’Istituto di Storia Contemporanea dal titolo “La grande illusione: la prima guerra mondiale. Il fascismo. Alda Costa, Giacomo Matteotti” che fa parte di un ciclo di incontri, “Tutta la nonviolenza di un secolo. Una storia anche ferrarese”, promosso dal Comune di Ferrara, dall’Istituto di Storia Contemporanea e dal Movimento Nonviolento aperto a tutta la cittadinanza e valevole come corso di aggiornamento per gli insegnanti.

Negli anni immediatamente precedenti l’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale, il Paese era spaccato tra neutralisti ed interventisti. Il Partito Socialista Italiano, fuori dal coro rispetto ai socialisti degli altri paesi europei, che erano nettamente a favore della guerra, si pose in una posizione di sostegno alla non belligeranza. Con l’entrata in guerra nel 1914, la maggioranza degli animi socialisti, quasi rassegnati dal fatto di non potere più evitare l’inutile strage, speravano in una vittoria italiana nel conflitto. “Matteotti in quel frangente andò controcorrente affermando che non esisteva nemico in quella guerra fratricida e che la vera idea di socialismo andava ben oltre il concetto di patria- spiega Daniele Lugli del Movimento Nonviolento-. Tali affermazioni di vilipendio della patria gli costarono denunce, per poco anche il carcere, e da allora divenne un elemento scomodo nella politica italiana, un osservato speciale, a differenza di molti altri socialisti riformisti che si assestarono su posizioni più moderate”.

Il mantenimento della purezza degli ideali di gioventù rimase incorrotto per tutta la vita di Alda Costa. La maestra si batté per i diritti delle donne divenendo una voce autorevole all’interno del socialismo riformista anche a costo di sevizie, confino e anni di carcere. Attraverso la sua preparazione culturale riuscì ad elevare la sua protesta mantenendosi sempre su posizioni non violente e senza mai veder venir meno i propri ideali pur con il rapido mutare delle situazioni politiche dall’inizio del Novecento alla seconda guerra mondiale. “La caratura morale di questa donna è espressa al meglio dalla sua premura in letto di morte dal carcere di Copparo nel far sapere ai compagni socialisti che era rimasta fedele a loro e ai suoi ideali- racconta la presidente dell’Isco, Anna Quarzi-. Altro episodio emblematico avviene nel 1925 quando, richiamata dal provveditorato agli studi poiché si rifiuta di fare il saluto romano, si giustifica dicendo che se lo facesse sarebbe un’offesa all’intelligenza altrui poiché tale gesto sarebbe palesemente falso e ipocrita. Non mancò neppure di riprendere i compagni uomini di partito per il trattamento servile ancora riservato alle loro madri, mogli e sorelle non in linea con i valori del socialismo stesso”.

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