Attualità
2 Ottobre 2017
"La tensione sale subito online". Ma ci sono varie categorie di 'haters'

Insulti e cattiverie sul web, ecco dove nasce l’odio 2.0

di Redazione | 2 min

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Nessuno si salva. In ogni continente, in ogni paese, in ogni contesto c’è sempre un qualcosa che non va e un qualcuno con cui prendersela, perché l’odio è un fenomeno globale. E’ quanto si evince dallo spezzone del documentario “The Internet warriors”, ideato e prodotto dal fotogiornalista norvegese Kyrre Lien nato per “capire come mai le persone scrivevano quelle cose sulla rete”. Quelle cose sono insulti e cattiverie, talvolta molto pesanti, che con l’uso dei social media sono aumentati a livelli spropositati.

“Sembrerebbe quasi che, online, la tensione salga subito” fa notare il giornalista di Internazionale Claudio Rossi Marcelli, chiamato a moderare l’incontro che, in una Sala Estense esaurita in ogni ordine di posto, metteva al centro delle discussioni l’odio riversato dalle persone sul web.

“Nel mondo digitale – evidenzia Marcelli – c’è quasi la sensazione che se ti va bene qualcosa basta lasciare like, altrimenti devi per forza commentare”. Marcelli mette in luce anche un altro aspetto, indice del cambiare dei tempi: “Una volta si faceva la classifica dei più sexy di Hollywood, oggi di quelli più odiati”.

Ma chi sono gli ‘odiatori’? “Sono quelli – spiega la giornalista bioeticista Chiara Lalli – che si credono geniali e competenti in ogni materia, che considerano gli altri delle ‘mezzeseghe’ che, in quanto tali, sono costrette a forza a conoscere la tua opinione. Gli haters hanno caratteristiche in comune con i complottisti”.

Kyrre Lien, invece, racconta la sua esperienza diretta, perché nel realizzare il documentario ha incontrato “persone che passavano ore e ore a scrivere commenti online” e una, addirittura, che aveva “scritto più di mezzo milione di commenti”.

Da questa esperienza il norvegese ha tratto due tipi profili di haters: “Ci sono quelli che odiano perché sono disoccupati e hanno tanto tempo a disposizione o perché hanno un livello culturale molto basso, e quelli che si sentono trascurati”. “Siamo tutti dei potenziali haters – analizza Chiara Lalli -. Basti pensare a quando ci alziamo di pessimo umore al mattino”.

Una formula per fermare questo tipo di odio dilagante, però, non c’è perché “è difficile dire come si può fermare questo fenomeno” commenta Lalli, evidenziando che pure le vie “normative, che possono produrre una punizione amministrativa” non sono auspicabili, perché “si incattivirebbe solamente quella posizione”. Sulla stessa falsariga l’intervento di Lien: “Dobbiamo parlare faccia a faccia con le persone che scrivono commenti pieni d’odio. Anche la ricerca scientifica ha dimostrato che chi riceve feedback negativi si sente rafforzato”.

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