di Lucia Bianchini
Raccontare storie per avere nuove consapevolezze e arricchire il proprio bagaglio culturale: questo lo spirito di Tag, il festival Lgbt che si svolge a Ferrara da venerdì 3 a domenica 5 marzo, promosso da Arcigay, Arcilesbica, Circomassimo e Famiglie Arcobaleno. A queste realtà si è aggiunto da pochi mesi “TransFer”, gruppo dedicato al transessualismo: “Una realtà nata in modo spontaneo perché mancavamo solo noi qui a Ferrara – ha affermato Paolo Lunghi, coordinatore del gruppo-. Come spesso succede quando si vive questa situazione si pensa che stia succedendo solo a te, che esista solo nei film. Il nostro scopo è anche quello di diventare un punto di riferimento per qualcuno che sta iniziando, si sta affacciando al mondo del transgenderismo, e abbiamo la voglia di fare cultura a trecentosessanta gradi”.
Proprio di transgenderismo si è parlato sabato 4 marzo alle 16 in Sala estense, quando Stefania Pecchini, Cristian Cristalli, Milena Bargiacchi, e Marco La Cognata hanno raccontato le loro storie. Il tema principale che è stato toccato è quello della difficoltà per i transessuali nel mondo lavorativo e ad ottenere i documenti. “Sono sovrintendente di polizia e ad oggi sono l’unica poliziotta transessuale in Italia. Ho iniziato questo percorso 10 anni fa, ero sposata, ho due figli. È stato un percorso complicato sia dal punto di vista familiare che da quello lavorativo perché tutti i giorni indosso una divisa- racconta Stefania Pecchini-. L’aspetto più importante per me è stato avere la chiave per poter amare gli altri sinceramente, soprattutto le persone a me vicine, come i miei figli. Avevano a fianco una persona che non ero e mi pesava. Ho faticato ad accettare di essere una donna nel corpo di un uomo, ho pensato anche di farla finita, ma sarebbe stata una sconfitta e avrei dato loro un peso troppo grande”. Dopo il crollo Stefania si rialza, afferma di aver sempre raccontato tutto ai colleghi, che in un certo senso hanno percorso la transizione con lei e l’hanno sempre supportata e aiutata perché sul lavoro l’unica cosa importante era la professionalità. Stefania riceverà l’8 marzo una targa dall’Amministrazione Comunale di Palermo come donna che si è distinta nel 2016 per il suo lavoro e la sua vita “il fatto che una persona che donna ci è diventata avere questo riconoscimento proprio in questo giorno per me è un traguardo”.
Ostacolo molto grande è la mancanza di informazione, come racconta Milena “Ti scontri con una cosa che non esiste, che non è mai trattata, figuriamoci nel passato”. Arresa a dover convivere con il suo corpo da uomo per quanto fin da bambina gioisse quando la scambiavano per una ragazza, Milena scopre la transizione a sedici anni quando riceve il primo computer, dopo aver vissuto un’adolescenza di crisi vedendo il suo corpo cambiare ma non come lei avrebbe voluto: “Già da bambino appena mostri un’incongruenza nella tua identità di genere vieni subito fermato e ti fanno capire molto chiaramente che un bambino certe cose non le può fare, quindi rientri nel binario e segui quell’educazione per cui un maschio deve diventare un uomo e una femmina una donna. Poi ho scoperto che potevo vivere la mia quotidianità come una donna, non sporadicamente, solo a Carnevale o in discoteca”.
Problema con cui le persone transessuali si scontrano quotidianamente è quello del lavoro: mai negli anni ’70 avrebbero potuto aspirare a posizioni nella polizia come nel caso di Stefania, di igienista dentale come Cristian o come vicepreside di una scuola come Marco, non c’era la possibilità di realizzarsi nella società, da qui nasce lo stereotipo che lega la transessualità alla prostituzione. “Ho iniziato il mio percorso di transizione cinque anni fa, quando insegnavo in una scuola elementare – racconta Marco La Cognata- quando ho deciso di fare la transizione, di lì ad un anno il cambiamento sarebbe stato evidente e ne ho parlato a colleghi e superiori per decidere come trattare la cosa con i bambini. Io penso che sia giusto dare ai bambini una corretta visione della realtà ma abbiamo deciso di non dire nulla perché il bambino poteva prenderla serenamente, ma gli adulti intorno a loro forse non avrebbero creato attorno a loro un ambiente sereno riguardo questo argomento, e si rischiava di caricarli di un peso troppo grande. Non ho mai trovato chiusura da parte dei miei colleghi.”
Marco racconta del suo inserimento nel tessuto sociale del paese, nell’oratorio, nella scuola dove ora è vicepreside ma dove bambini e ragazzi che lo ricordano come ‘la maestra Diana’ semplicemente hanno capito di doverlo chiamare con un altro nome. La situazione del lavoro è quindi centrale nella vita quotidiana, ed è strettamente legata a quella dei documenti: solo recentemente è infatti possibile cambiare il documento senza essere stati operati. Cristian spiega di aver avuto problemi a prenotare una vacanza perché il nome anagrafico non risponde alla personalità, la difficoltà di dover presentare un curriculum con un nome che non ti rappresenta, è un continuo coming out, all’ufficio postale, alla banca, ogni volta che viene chiesto un documento.
“Ho fatto l’operazione perché era un’esigenza personale, al di là dei documenti- afferma Stefania – poi ho atteso un anno per il cambio. Mi è successo di portare degli arrestati in tribunale durante dei processi e nel momento in cui presenti gli arrestati devi dare le tue generalità e così in divisa dovevo dire ‘Fabio Pecchini’. Silenzio generale nell’aula di tribunale, poi si ricominciava. Il tribunale che seguiva il mio cambio di nome era lo stesso in cui lavoravo per cui spesso parlavo con il cancelliere chiedendole se potevo continuare a firmare atti di polizia giudiziaria con un nome che non era il mio, e lei era d’accordo con me”.
La legge che permette di cambiare sesso è del 1982, oggi però è considerata ambigua, non definisce bene la non obbligatorietà degli interventi, per questo è a discrezione del giudice approvare il cambio senza operazione. Il disegno di legge 405 che eliminerebbe l’obbligo di passare per il tribunale per la transizione non è al momento portato avanti. “Spesso le persone vanno al di là della legge – afferma Stefania-: con il cambio di nome la sentenza ha annullato automaticamente anche il mio matrimonio senza chiedermi se io e mia moglie eravamo ancora innamorate. La legge non è retroattiva rispetto ai figli: mantengo responsabilità e doveri verso i miei figli, ho un rapporto bellissimo sia con loro che con la mia ex moglie”.
La cosa più importante secondo Marco, dopo l’attivismo, è ‘esserci’: “quello che fai nella quotidianità del tuo paese, all’oratorio, quando fai il coming-out con la nonna o con il vicino di casa anziano. Ciò che cambia il tessuto in cui vivi è mostrare con la tua quotidianità che sei una persona comune, con i tuoi pregi e i tuoi difetti, che non fa nulla di diverso dagli altri, ed è così che spingi le persone a cambiare. Gli altri nel momento in cui tu sei sereno, imparano da te e cambiano atteggiamento”.
Grazie per aver letto questo articolo...
Da 18 anni
Estense.com offre una informazione indipendente ai suoi lettori e non ha mai accettato fondi pubblici per non pesare nemmeno un centesimo sulle spalle della collettività. Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati non sempre è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge e, speriamo, ci apprezza di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di ferraresi che ci leggono ogni giorno, può diventare fondamentale.
OPPURE se preferisci non usare PayPal ma un normale bonifico bancario (anche periodico) puoi intestarlo a:
Scoop Media Edit
IBAN: IT06D0538713004000000035119 (Banca BPER)
Causale: Donazione per Estense.com