Eventi e cultura
12 Gennaio 2017
Nella sua amata-odiata città d’origine il critico d'arte ha presentato il quarto volume della sua opera sui tesori artistici d'Italia

La nuova ‘mappa’ dell’arte italiana secondo Sgarbi

di Redazione | 4 min

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Dall’ombra alla luce: una nuova mappa per la geografia dell’arte italiana secondo Vittorio Sgarbi. Il critico d’arte ferrarese ha presentato ieri nella sua amata-odiata città d’origine il quarto volume della sua opera sui tesori dell’arte italiana.

Non erano rimasti neppure posti in piedi nel tardo pomeriggio di ieri (giovedì 12 gennaio) nella sala al terzo piano della libreria Ibs+Libraccio di piazza Trento Trieste per la presentazione dell’ultimo volume di Vittorio Sgarbi: il quarto episodio del suo ciclo sull’arte italiana, “Dall’ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo. Il Tesoro d’Italia IV” (La Nave di Teseo, 2016).

Sgarbi ha iniziato omaggiando il padre, presente fra il pubblico, che “fra quattro giorni compirà 96 anni” e si è complimentato con la sorella, accanto al padre in sala, così mite da “non aver ancora litigato con nessuno qui a Ferrara”, e così brava da aver fondato contro il colosso ‘Mondazzoli’, una “piccola casa editrice già di grande successo”, la Nave di Teseo, una “zattera” sul quale anche lui ha deciso di imbarcarsi, ha ironizzato.

Con una platea così ampia però il critico ferrarese non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione per qualche frecciatina alla propria città d’origine, che ha detto di amare profondamente: proprio questo sarebbe il motivo per il quale la bacchetta così spesso. “Ferrara è una città che sento un po’ inerte, ma io la amo, per questo la vorrei più vivace”. L’unica “brillante intuizione”, attribuita però all’ex presidente di provincia Dall’Acqua e non all’attuale classe dirigente cittadina, è trasferire la Pinacoteca da Palazzo Diamanti al Castello, “se non altro è frequentato”. E a questo proposito Sgarbi ha aggiunto beffardo: “speravo potesse ospitare anche i miei quadri nel frattempo” e invece “li potete ammirare a Cortina”.

Poi Sgarbi è tornato al suo ultimo libro, dando vita a un’istrionica lectio magistralis sull’arte italiana del Seicento. Quello appena uscito è il quarto tomo di “una storia dell’arte italiana ‘per medaglioni’, non un percorso storiografico ma una scelta degli artisti più significativi” o, ancora meglio, “una geografia dell’arte italiana”, seguendo l’esempio di Roberto Longhi che nel 1933 coniò l’espressione ‘Officina Ferrarese’ proprio nel catalogo di una mostra sul Rinascimento voluta per celebrare il quarto centenario della morte di Ludovico Ariosto. Il prossimo, che Sgarbi ha rivelato essere l’ultimo, arriverà “fino a De Chirico”, continuando così un ideale omaggio a Ferrara.

In questo volume, la cui copertina raffigura un animale spesso chiamato in causa da Sgarbi nelle sue apparizioni televisive, il critico analizza “nomi meno consueti” dell’arte italiana, “artisti sconosciuti”, alcuni interpreti originali della rivoluzione della pittura del reale di Caravaggio, altri con lo sguardo rivolto in alto, al cielo e alla sua luce. Il titolo “Dall’ombra alla luce” ha dunque questo “doppio significato”, ha spiegato Sgarbi: “dalla pittura degli interni di Caravaggio ai cieli di Tiepolo”, ma anche “riportare alla luce opere rimaste fino a ora nell’ombra della non conoscenza”.

Un viaggio nella geografia del Barocco italiano che inizia con un dialogo a distanza: Rubens che cerca Caravaggio a Roma, ma non lo trova. E così il Seicento dell’arte italiana comincia “con Rubens che emula Caravaggio” con una straordinaria Natività caravaggesca destinata all’Oratorio dei Filippini di Fermo. Un viaggio che parte appunto da Roma “dove tutto accade”, con Orazio e Artemisia Gentileschi, Serodine e Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio, fino a Philipp Peter Ross, detto Rosa da Tivoli, “specializzato in animali” e autore del dipinto in copertina. Poi ci si sposta al Nord, tra Piemonte e Lombardia, dove è in atto la “rinascita della pittura dei sacri monti”, i cui interpreti sono il Morazzone, Tanzio da Varallo e Francesco del Cairo. Da qui in Liguria, con il Genovesino e Bernardo Strozzi, e poi a Napoli, dove sono all’opera lo spagnolo Rivera e Caracciolo, allievo dello stesso Caravaggio. Ultimo allievo di Michelangelo Merisi è il calabrese Mattia Preti, che andrà fino a Malta per ripercorrere le orme del maestro, mentre il suo conterraneo Francesco Cozza sceglierà di “seguire i bolognesi” ritornando “a una pittura chiara nella quale domina il cielo”.

Per rappresentare l’Emilia Sgarbi ha scelto il ferrarese Carlo Bononi, il Guercino e il bolognese Mastelletta, “pittore di paesaggi fiabeschi, quasi ariosteschi”. Non poteva mancare Firenze, dove “sopravvive una pittura non toccata dalla realtà”, come risulta evidente dalle opere di Carlo Dolci e Andrea Bolgi. Questo grand tour ante litteram finisce a Venezia con Paolo il Giovane, allievo di Tiziano, e il dalmata Matteo Polzone che è “l’ultimo pittore che intinge il pennello nel colore di Tiziano”, infine Tiepolo con il quale “si ritorna definitivamente al cielo”: il “Sacrificio di Ifigenia” di Villa Valmarana a Vicenza si svolge in “una dimensione assoluta, mitologica”. L’arte italiana è entrata nel Settecento e con i Tiepolo – Gianbattista e Giandomenico – “mostra il sublime e il naturale”.

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