Spettacoli
21 Novembre 2016
Dopo “Micol e le altre” Diana Höbel torna a Ferrara Off con un'altra protagonista della letteratura del Novecento

Molly Bloom, ovvero Penelope secondo James Joyce

di Redazione | 3 min

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102_3749 copiadi Federica Pezzoli

Molly Bloom e Penelope: il desiderio e la fedeltà. Fra loro una differenza sostanziale: il comportamento nei confronti del marito, Ulisse-Leopold, forse addirittura il modo di concepire la propria femminilità. Mentre Penelope incarna il prototipo di donna fedele, Molly è una donna estremamente passionale, corporale, fisica. Molly è la protagonista femminile dell’Ulysses di James Joyce, la moglie infedele di Leopold Bloom, il suo monologo interiore chiude l’intera vicenda narrata dall’autore di Dublino: ne leggiamo i pensieri reconditi e nascosti, mentre a letto aspetta che il marito ritorni dalla giornata descritta durante tutto il romanzo.

E proprio sul lato più sensuale e carnale, ma allo stesso tempo ironico e persino comico, di Marion Bloom ha voluto concentrarsi Diana Höbel nella sua interpretazione, portata in scena sabato 19 novembre nello spazio teatrale di Ferrara Off, in viale Alfonso I d’Este.

“Lo spettacolo è nato l’anno scorso – ha spiegato l’attrice nell’incontro con il pubblico al termine della serata – mi è stato commissionato dal Comune di Trieste, dove Joyce ha vissuto, per celebrare il Bloomsday”, la ricorrenza che viene festeggiata in diverse città in tutto il mondo il 16 giugno, la giornata narrata nel capolavoro dello scrittore irlandese. Non potendolo recitare integralmente perché durerebbe “circa due ore e mezza”, l’attrice ha dovuto selezionare alcuni brani: “Ho scelto l’inizio e la fine dell’episodio” e “la linea interpretativa che mi è sembrata più giusta per congiungerli è questo erotismo, insieme a tanta ironia e a vere e proprie battute comiche, che mi sono sembrati balzare fuori dalle pagine”.

In un flusso di coscienza che è una marea di pensieri, immagini ed emozioni, sulle quali domina la gelosia verso il marito, Molly trascorre la notte insonne, ripensando agli uomini che ha incontrato nella sua vita e a quelli che avrebbe voluto incontrare, vagheggia o ricorda avventure immaginarie o reali, senza che il lettore/spettatore possa capirlo con certezza. Pensa a lui, Leopold Bloom, con il quale è sposata da sedici anni, che l’ha già tradita in passato e continua a farlo: “Perché non puoi baciare un uomo senza doverlo prima sposare”.

Pensa al proprio amante, l’agente teatrale Blazes Boylan, con il quale è stata nel pomeriggio. Poi il fischio di un treno le riporta alla mente il ricordo della sua infanzia a Gibilterra, del padre, il maggiore Tweedy, e del suo primo amore, il tenente Mulvey, che la baciava sotto le mura moresche e che ora sente vicino come se non fossero trascorsi vent’anni. Fino a che non giunge a ricordare con ogni fibra del suo essere l’ebbrezza provata nell’accettare la proposta del futuro sposo, fra le sue braccia sulla collina di Howth, in un crescendo di sì alla vita e all’amore.

“La passione è assoluta – scrive Diana Höbel nelle note di regia – Pura, perché non ancora inficiata dalla consapevolezza della caducità di ogni trasporto, percepita da sensi non ancora saturi. Pura nel pronunciamento del primo, fatidico, sì”. E sabato sera, nell’incontro finale con il pubblico, aggiunge: “In realtà in queste parole c’è un modo di concepire l’altro sesso, non per forza quello con cui una donna percepisce un uomo, ma anche viceversa”.

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