Politica
9 Novembre 2016
Guido Calvi, Leonardo Grassi e Alessandro Somma spiegano perché il 4 dicembre dovremmo votare no

“La riforma costituzionale porta a deriva autoritaria”

di Redazione | 4 min

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Nella foto, da sinistra, Leonardo Grassi, Alessandro Somma e Guido Calvi

Nella foto, da sinistra, Leonardo Grassi, Alessandro Somma e Guido Calvi

di Federica Pezzoli

Sono stati tre ospiti d’eccezione a presentare ieri pomeriggio (martedì 8) alla Sala della Musica di via Boccaleone le ragioni del no al referendum del prossimo 4 dicembre sulla riforma costituzionale, nell’incontro organizzato da Anpi e Comitato per il No: il professor Guido Calvi, ex senatore, membro non togato del Consiglio Superiore della Magistratura, che del comitato è presidente nazionale, Leonardo Grassi, presidente di sezione della Corte d’Assise d’appello del tribunale di Bologna, che in passato si è occupato dei casi giudiziari relativi alle stragi dell’Italicus e della stazione di Bologna, e Alessandro Somma, docente di sistemi giuridici comparati presso Unife.

Per spiegare i lati deboli della riforma Somma è partito dall’attualità: dall’accordo appena raggiunto, o quasi, fra maggioranza e minoranza del Pd sulla riforma alla legge elettorale in cambio del sì alla riforma costituzionale. “È la dimostrazione lampante – ha affermato il docente – del legame fra legge elettorale e riforma costituzionale: un nesso non formale, ma politico e sostanziale”: quel combinato disposto le cui conseguenze sono costantemente negate dai sostenitori del sì. Inoltre per Somma è ormai evidente che “i problemi interni al partito di maggioranza relativa del paese condizionano il dibattito istituzionale e ci bloccano e dividono come paese”.

Per Guido Calvi “non cambierà nulla fino al 4 dicembre” e se quel giorno vincerà il sì “la legge elettorale non verrà modificata”, mentre “se vincerà il no, non sarà Renzi a concedere la riforma della legge elettorale: rimanendo il Senato, una nuova legge elettorale sarà necessaria e indispensabile”. E questo per tacere del fatto che la sentenza della Corte costituzionale del 2014, dichiarando incostituzionale il Porcellum, ha anche prescritto che il Parlamento “rimaneva legittimamente in carica solo per poter fare una nuova legge elettorale”, mentre invece si è messo mano alla Costituzione.

Non usa giri di parole Calvi. Secondo lui questo disegno di riforma costituzionale porta a “una deriva autoritaria” perché mette in atto “una sorta di reductio ad unum: un leader, una Camera, un partito di maggioranza”; ed è “falso che non tocca l’equilibrio fra poteri perché non modifica i poteri del Presidente del Consiglio”, c’è infatti “un esautoramento di tutti i poteri di controllo”.

Secondo Somma questa riforma costituzionale pone due ordini di problemi: il “progetto politico” e “l’aspetto formale” per tradurlo nella pratica. Si è spesso parlato del “bicameralismo pasticciato” per quanto riguarda i due rami del Parlamento, meno spesso si è trattato il tema dei nuovi rapporti fra Stato e Regioni. Somma ha spiegato che il nuovo testo “ha abolito la competenza concorrente”, con un “processo di accentramento”, inoltre il Parlamento scriverà “disposizioni generali e comuni”, mentre alle regioni rimarranno “le disposizioni specifiche”: sembra dunque che il problema del contenzioso “sbattuto fuori dalla porta, rientri dalla finestra”.

Calvi, invece, si è soffermato sulla cosiddetta “clausola di supremazia”, che sancisce la prevalenza dell’interesse nazionale sui singoli territori, “senza però dire quando, come e con quali poteri” lo Stato lo eserciterebbe. Inoltre “da questa calusola sono escluse le regioni a statuto speciale”, creando così disparità e disuguaglianze fra i cittadini a seconda delle regioni di residenza, ha sottolineato Calvi. L’ex senatore ha parlato anche del “falso risparmio che si otterrebbe con la riforma”, ridimensionato dalla stessa Ragioneria dello Stato, e di quello che ritiene il falso problema di sveltire le procedure legislative per rispondere ai tempi più veloci dell’epoca contemporanea: da gennaio ad oggi, con il sistema attuale del bicameralismo perfetto, “si è votata praticamente una legge a settimana”.

Sia Calvi, sia Grassi sono stati concordi nel sostenere che questo testo denota “un’arroganza e un’incultura dal punto di vista della democrazia e delle istituzioni”.

Grassi ha parlato di “una riforma costituzionale incostituzionale” perché creando diseguaglianze fra i cittadini viola l’articolo 3, di un “bicameralismo imperfetto costruito con formule giuridiche confuse, meglio sarebbe stato forse dire che il Senato non serve a nulla ed eliminarlo”. E infine di “depistaggi cognitivi”, prendendo in prestito un’espressione del politologo Galli, “volti a sviare i cittadini elettori dall’essenza delle riforme”. Il problema fondamentale per il magistrato bolognese è però che “un Parlamento eletto con una legge incostituzionale si metta a modificare la carta fondamentale” e lo faccia “a colpi di maggioranza”: si sta facendo “violenza alla Costituzione e ai diritti dei cittadini”.

E quel che è peggio è che “questo dibattito scaturisce dalle esigenze non dei cittadini, ma di oligarchie: come meglio corrispondere alle necessità della globalizzazione, in particolare quella finanziaria”. “Quello che continua a stupirmi è la capacità di manipolare e plasmare le parole secondo le loro esigenze”, per questo – ha concluso Grassi – “l’impresa che aspetta i fautori del no” in questo mese che ci separa dal referendum “è riscoprire la verità delle parole, ridare loro il significato che hanno”.

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