di Federica Pezzoli
Tutto è iniziato con la consegna dell’Ippogrifo disegnato apposta per lui dall’artista ferrarese Marcello Carrà: “mi sono un po’ spaventato quando me ne hanno parlato, a volte capita che ti consegnino bellissimi premi in bronzo o in marmo, che però pesano 10 kg”. Come quella volta che gli hanno regalato una matita da due metri: “bellissima, ma provate voi a portarla a Roma”.
È cominciata così la serata pop su Ariosto del celeberrimo scrittore Stefano Benni, sabato alla Sala Estense, evento conclusivo della giornata organizzata dall’associazione culturale “Il Gruppo del Tasso” per recuperare l’anima popolare dell’Orlando Furioso.
Chi si aspettava un one man show, come ormai capita spesso quando si tratta di autori ‘pop’ che passano dai libri alle scene teatrali, è rimasto però felicemente spiazzato perché quella di Benni è stata una vera e propria conferenza sull’immaginazione, o meglio sulle “tonalità dell’immaginazione”, oppure ancora l’enunciazione di un vocabolario dell’immaginazione.
Ispirato dalla visita in anteprima al cantiere della mostra “Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi” – che aprirà sabato 24 settembre a Palazzo Diamanti – Stefano Benni è partito dall’immaginazione e dall’immaginario dell’Orlando Furioso di Ariosto e li ha usati come pretesto per narrare le sfumature, i paradossi e le contraddizioni dell’immaginazione, passando per Dante, Ovidio, Cervantes, Salgari e Carroll, fino ad arrivare a filosofi, come Gaston Bachelard e Walter Benjamin, o ancora a scienziati, come Blaise Pascal e Albert Einstein.
Perché l’immaginazione è “contro il razionale, ma è anche il suo necessario completamento” e senza di essa non c’è progresso scientifico. “Un pensiero intero deve contenere anche l’immaginazione”, proprio come sono quelli dei bambini: “è un errore frustrare la potenza creatrice e anarchica dell’immaginazione e non considerarla una ricchezza”.
L’immaginazione però non è solo bambina, è anche saggia, è “quotidiana e ulteriore, perché ci serve nel quotidiano per andare in mondi altri”. L’immaginazione è saggia, etica e democratica perché è “di tutti, non c’è nessuno di noi che non ne sia dotato”, è collettiva e nello stesso tempo unica perché attinge a “un’enorme smisurata biblioteca che ci accomuna tutti, ma ognuno di noi immagina in modo unico”: “ecco perché nessun libro assomiglia all’Orlando Furioso”. In esso, attraverso le sue ottave, Ariosto compie una magia e si passa dalle immagini alle parole: da queste comincia la pazzia di Orlando, quando legge le parole che Angelica e Medoro “hanno inciso nel paesaggio del mondo”. Nelle parole si intrecciano “il discorso che ci guida”, ma anche “il vaneggiamento che ci perde”.
Secondo Benni è difficile tracciare un discrimine tra il poeta, l’artista, che con l’immaginazione dà forma ai segni che gli arrivano dal mondo e al mondo restituisce, e il folle “al quale arrivano tutti insieme”, senza che egli sia capace di ordinarli. Quello di cui dobbiamo aver paura però non è “il fiume delle parole” del folle, ma “il silenzio”, la mancanza di comunicazione e la chiusura in se stessi.
Stefano Benni insomma è stato pop quanto lo sono il tecnico e il professore del suo Bar Sport: “grandi divulgatori di complicati concetti filosofici, nel nostro caso il sogno e l’immaginazione, tra una partita di biliardo e una discussione, a voi la scelta se di calcio o di politica”.
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