Attualità
10 Agosto 2016
L’intervento sull’omicidio Fontana del Centro Donna Giustizia Ferrara

Barbara uccisa anche dal pregiudizio

di Redazione | 5 min

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BarbaraFontanaIl caso di Barbara, uccisa da 30 coltellate dal pluripregiudicato per delitti e violenze analoghe e la modalità con cui è stata arricchita dai media la notizia, la dice lunga su quanto ancora si debba fare in questo paese per poter parlare veramente di equità e rispetto tra i generi e tra gli individui.

In questo caso il nostro silenzio non può non esplicitarsi perché sentiamo di dover lottare oggi per Barbara, colei che qualche giorno fa ha perso la sua vita in questa maniera assurda, perché vittima del pregiudizio di una società androcentrica che indirettamente ha reso vittima anche il suo carnefice. Dobbiamo lottare per tutti coloro che subiscono violenze solo perché donne o sex workers, affinché tutti gli individui – clienti e non – possano capire che il rispetto per la persona è la prima forma di civiltà e quindi tradurre questo pensiero in azione. Bisogna far sì che questo messaggio arrivi a tutte quelle persone che di fronte a queste notizie mettono la testa sotto la sabbia e fanno finta di nulla, al sistema politico italiano poco sensibile a questa tematica e che non interviene su una legislazione che lascia impuniti o sottostimati atti ingiustificabili.

Barbara esercitava, tra le altre, anche la professione di escort, era parte di quel mercato che offre servizi sessuali meglio conosciuto come “sex work”. Barbara è morta anche per questa appartenenza a una realtà sociale marginalizzata e marginalizzante che, generando conflitti alimenta lo stigma sia nelle relazioni con il mondo esterno sia in quelle che esistono all’interno di quel gruppo di persone che con modalità differenti lavorano nella realtà del sesso commerciale: escort, pornoattori/attrici, spogliarellist*, lap dancers, webcam girls/boys, etc.

Il termine sex work è stato ideato con l’intento di dar coesione a una realtà professionale comunemente marginalizzata in virtù di giudizi morali su sesso e sessualità, per superare la tendenza alla generazione di rapporti di discriminazione interni. Riproporre motivi di discriminazione non fa il gioco di nessuno, ma anzi aiuta chi dall’oppressione dei/lle sex workers trae vantaggio.

L’industria sessuale in tutto il mondo è associata a gravi forme di marginalizzazione, violenza, sfruttamento e lavoro forzato. I Media, la ricerca, la fiction raccontano storie di sex workers abusat*, sfruttat* o trafficat*. E lo fanno così spesso che cominciamo a diventare indifferenti al tema, come quasi sempre accade di fronte agli orrori del mondo. Una sex worker uccisa in Italia, come il recente caso di Barbara Fontana, 47 anni, tra le varie attività lavorative escort nel territorio bolognese, uno derubato a Rio de Janeiro durante una transazione, un’altra sfruttata fino alla morte in un bordello di Seoul.

Una violenza di genere, razzista, classista, omofobica e transfobica infesta il mondo del sex work e molti di noi credono che gli stati, le organizzazioni governative e le ONG dovrebbero offrire maggiore aiuto. Molto è già stato fatto. Il problema è l’efficacia di questi interventi. Ma, c’è qualcos’altro da sapere?

Noi crediamo di sì. Sono in discussione donne, uomini, persone transgender che sono stati direttamente toccati dall’abuso, dallo sfruttamento,  persone che attivamente e collettivamente resistono a tutte le forme di violenza esercitata contro di loro. Purtroppo in moltissimi casi i più sono costretti a nascondere la propria identità professionale in nome della salvaguardia di un’integrità sociale da mantenere. Dire apertamente di essere un* sex worker può significare perdere la credibilità politica, e anche essere accusat* di rappresentare gli interessi dei/delle ‘protettori/protettrici’ e di prendere denaro da loro. Dire apertamente di essere un* sex worker significa a tutt’oggi, mettere a rischio le proprie relazioni e la famiglia.

Ecco perché Barbara ha dovuto nascondere la sua ulteriore attività lavorativa, ecco perché i media hanno passato la notizia annunciandola come la “Doppia vita” di una donna che di giorno era “irreprensibile e normale”, come se la sua condizione lavorativa notturna minasse il suo essere totale. Tale obbligato silenzio però espone  purtroppo a minacce da parte dei clienti che si possono sentire autorizzati ad abusi invece illegittimi, può condurre alla violenza e alla legittimazione al femicidio come purtroppo in questo caso. Tale obbligato silenzio espone ad un non riconoscimento dei diritti di denuncia di molestie o gravi discriminazioni  nei confronti di donne che esercitano il sex working. Può condurre a sottostimare i fatti e ridurre le pene per chi commette questi abominevoli reati contro l’essere umano, come nel caso del pluri pregiudicato artefice dell’omicidio di Barbara,  con già numerosi precedenti per atti simili.

Decriminalizzare il sex working significa assenza di leggi speciali per la prostituzione e quindi la violenza, l’abuso, lo stupro e lo sfruttamento possono essere affrontati con gli stessi mezzi di qualunque altra attività economica.

E’ tempo di denunciare che i moventi di queste tragiche situazioni sono da addebitare ad una società ancora largamente divisa nell’equilibrio tra i sessi e tra i generi e tra le libertà personali dell’individuo. E’ tempo di iniziare a creare sistemi comuni che volgano al riconoscimento delle forme di discriminazione per tutti e con tutti e che si traducano in denunce condivise di queste situazioni. Il silenzio è una forma di complicità, rimanda il vero cambiamento e non da il giusto riconoscimento a chi ha perso ingiustamente una parte o tutto di sé, a chi ha lottato e lotta per mettere fine a queste tragedie del genere umano. Ripetere lo stigma e le forme di esclusione sociale è pericolosissimo; questo il tempo di denunciare ogni tendenza che rafforza pregiudizi interni ed esterni.

Noi rimaniamo comunque attente e attive e così, con questa denuncia/promessa desideriamo salutarti.

Da tutta l’equipe dell’Unità di Strada prostituzione di Ferrara, da tutto il Centro Donna Giustizia di Ferrara.

Ciao Barbara.

 

Eleonora Telloli

Valeria Ruggeri

Beatrice Wang

Chiara Arena Chartroux

Caterina Gallerani

Maria Grazia Lonzi

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