Bondeno
17 Maggio 2016
Le storie dei dimenticati in un docufilm. La prima proiezione a Bondeno

Giro d’Italia e sisma. Le storie di chi è nato in un container

di Redazione | 3 min

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Laura Badiini e Filippo Manvuller

Laura Badiini e Filippo Manvuller

Bondeno. Persone costrette a vivere da 4 anni nei container, davanti alla propria casa, ancora inagibile, bimbi nati nei moduli abitati provvisori, genitori di giovani vittime che ancora attendono risarcimenti e giustizia, il responsabile ufficio tecnico dell’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio che – parlando della ricostruzione delle chiese – rivela che “siamo quasi al punto di partenza, dopo 4 anni”.

E’ lo spaccato del post terremoto d’Emilia raccontato da Filippo Manvuller e Laura Badiini in un documentario di 6 minuti, che sarà presentato in occasione del passaggio del giro d’Italia nei territori terremotati, a 4 anni dal sisma. La proiezione è prevista domani, 18 maggio, in occasione del transito della Corsa rosa a Bondeno, in un maxischermo montato in via Borselli, alle 13 circa.

I due autori – giornalista professionista il primo, videomaker, fotografa e produttrice la seconda – hanno acceso i riflettori sulla ricostruzione dando voce ai ‘dimenticati’. C’è la signora di 76 anni, operata, da 4 in un modulo abitativo rurale immerso nella campagna, all’ombra della casa in cui è nata, da abbattere ma ancora in piedi, come una cattedrale decadente. Ci sono Bruno Cavicchi e la moglie Romana, genitori di Nicola, il 35enne vittima del crollo della Ceramica Sant’Agostino, che ad oggi, per la morte del figlio, hanno ricevuto dall’Inail la miseria di 1936,80 euro, a “parziale copertura delle spese funerarie” (di 11mila euro). C’è la storia di Franco Bastia, di Alberone di Cento, che rischia di vedersi abbattere la casa appena ricostruita perché di lì dovrà passare la Cispadana. Ci sono le bollette nei container, in media di 5-600 euro ogni due mesi, “perché qui va tutto a elettricità”.

C’è il bimbo che non ha mai conosciuto un’abitazione vera e propria, perché nato nel container. Ci sono le 600 persone ancora fuori casa nel solo Comune di Bondeno (dove Manvuller risiede e lavora) e le migliaia che attendono di rientrare nella propria abitazione originaria in tutta l’area del cratere. Ci sono municipi, rocche, beni artistici di inestimabile valore frantumati, ridotti in macerie, tenuti in piedi da puntelli, tiranti, impalcature e altri ‘cerotti’ strutturali. C’è la torre dell’orologio di Finale, già simbolo del terremoto, ora sostituita da un ‘monumento a ricordo’, i centri storici fantasma, chiese – come quelle di Buonacompra o Mirabello – ridotte a facciate sventrate, e sostituite da un intricatissimo reticolo di pali. Ci sono i residenti scampati al sisma ma oggi destinati a dover abbandonare le loro abitazioni perché soggette ai “carichi sospesi”.

E poi c’è il biomedicale di Mirandola, che fornisce il 70% dei dializzati d’Italia e che – per non compromettere l’assistenza ai malati – ha ricostruito dal giorno successivo alle scosse, installando macchinari sotto tendoni, con mezzi di fortuna, consentendo al Paese di non perdere un solo giorno di dialisi. “Abbiamo raccontato la storia di un popolo, quello emiliano – dichiarano Filippo Manvuller e Laura Badiini -, che si è rialzato da solo, con le proprie mani, contando sul coraggio e l’intraprendenza che è nel proprio dna. Lo stesso coraggio e la stessa intraprendenza che hanno fatto nascere in questa terra il miracolo economico italiano, dalle Maserati alle Lamborghini, dal biomedicale alle ceramiche. Una storia che oggi chiede considerazione e chiede regole uniche nazionali di riferimento per la gestione della ricostruzione post calamità.  Quello dell’Emilia è stato il primo terremoto industriale, perché ha colpito una zona che, per densità produttiva, è tra le prime in Europa. Purtroppo, mentre a distanza di 36 anni ancora si parla della ricostruzione in Irpinia, e non solo, il terremoto emiliano sembra scomparso dall’agenda e dall’attenzione politica. Ma girando in queste zone le ferite sono ancora evidenti. E sono ferite profonde, che chiedono ancora risposte”.

Sisma Emilia 2016, storie di container e vittime dimenticate

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