
Il curatore della mostra Adolfo Tura
A quali immagini, suggestioni e opere d’arte si è ispirato Ariosto per raccontare “le dame, i cavallier, l’armi, gli amori”? A questa domanda cercherà di rispondere la mostra “Orlando Furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi” esposta a palazzo dei Diamanti dal 24 settembre all’8 gennaio, in occasione del quinto centenario della pubblicazione del capolavoro ariostesco, ultimo dei romanzi cavallereschi e primo di quelli moderni.
Il percorso espositivo è stato presentato in anteprima giovedì pomeriggio presso il Dipartimento di Giurisprudenza ai docenti perché “una delle cose che Ariosto vedeva quando chiudeva gli occhi era una vita di ricerca e di studi all’insegna della libertà intellettuale, garantita dall’università” annuncia il delegato del rettore Andrea Gatti.
La mostra “ricostruisce l’universo di immagini che popolavano la mente di Ariosto” attraverso una “selezione di oltre 80 opere fra dipinti, sculture, arazzi, manoscritti, strumenti musicali, armi e manufatti preziosi, tra cui capolavori assoluti del Rinascimento” anticipa il curatore Adolfo Tura che, insieme all’altro curatore Guido Beltramini, ha scelto di puntare non tanto “alle fonti letterarie quanto alla tradizione figurativa che gli era familiare”.
L’allestimento non comincia, come ci si poteva aspettare, dall’esposizione della prima edizione del 1516 che, invece, è stata posta a metà del percorso. L’Orlando diventa così il “perno di un itinerario ordinato in sezioni tematiche – spiega Tura – che alternano le fonti dell’immaginario ariostesco al contesto in cui è nato il poema, in modo che lo sguardo del visitatore possa collimare con lo sguardo stesso di Ariosto sugli oggetti suggestivi che abbiamo raccolto”.
Per far rivivere da subito il fantastico mondo cavalleresco di Orlando e dei paladini, la prima sezione è dedicata al tema della battaglia. Ad accogliere i visitatori, dopo il più antico esemplare dell’Orlando Innamorato di Boiardo proveniente dalla collezione milanese di Melzi, ci sarà il monumentale arazzo raffigurante la battaglia di Roncisvalle. Il combattimento viene evocato dall’olifante in avorio dell’11° secolo, che la leggenda vuole sia il corno che Orlando fece risuonare tra i Pirenei. Tra manoscritti miniati e antichi elmi, faranno bella mostra di sé la Scena di battaglia di Leonardo da Vinci, disegno mai esposto in Italia, e la sella da parata di Ercole I.
Si passa poi a una ricostruzione della vita di corte tra Ferrara e Mantova, “senza mettere in scena una miniatura della corte estense ma creando una sala rarefatta con pochi oggetti ma evocativi”, tra cui il capolavoro Minerva che scaccia i vizi dal giardino delle virtù, dipinto da Mantegna per lo studiolo di Isabella d’Este. Questo dipinto, in prestito dal Louvre, ha nutrito la fantasia di Ariosto nella stesura del componimento e verrà accostato ad altri oggetti più unici che rari, tra cui la lira da braccio di Giovanni d’ Andrea e il ritratto di Lionello d’Este di Pisanello.
La terza sala, dedicata all’immagine del cavaliere, cita ovviamente il nostro patrono con San Giorgio e il drago di Cosmè Tura ed altre opere a cui si ispirò verosimilmente Ariosto per figurarsi i suoi intrepidi paladini. Altro grande tema del poema cavalleresco è la dimensione meravigliosa ed esotica che verrà rievocata con due delle tavole più suggestive della pittura italiana del ‘400 e ‘500: San Giorgio e il drago di Paolo Uccello e La liberazione di Andromeda di Piero di Cosimo.
In mostra anche la Venere di Botticelli, nella sezione dedicata al desiderio e alla follia, come immagine esemplificativa di una bellezza femminile ideale analoga a quella di Angelica, per il cui desiderio inappagato Orlando impazzisce e il suo senno finisce sulla luna. Il viaggio ‘di recupero’ sarà mostrato da Cosmè Tura in San Giovanni in Patmos.
Le ultime due sezioni sono dedicate al post-poema fino al 1532, anno della terza e ultima ripubblicazione dell’Orlando. Un momento di rivoluzione della pittura vissuta in prima persona da Ariosto che è stato coinvolto attivamente nella nascita di alcune opere di Dosso e Tiziano. Tra queste spicca il Baccanale degli Andrii di Tiziano che, grazie a un prestito concesso dal museo del Prado, tornerà per la prima volta in Italia dopo più di 400 anni.
Una mostra “unica nel suo genere” ed “irripetibile per il numero di capolavori della storia culturale italiana del Rinascimento” conclude Maria Luisa Pacelli, direttrice del palazzo dei Diamanti, che vive questa esposizione come una “occasione del tutto eccezionale per rendere omaggio a un patrimonio della città estense ma con rilevanza mondiale”.
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