“Buonasera a tutti. Mi chiamo Ludovico Ariosto. E non è un bizzarro caso di omonimia. In molti mi hanno definito uno “scrittore immortale”, ma immagino che nessuno di voi si aspettasse che lo fossi davvero, letteralmente”. Ha cominciato così Matteo Pedrini il suo omaggio al poeta Estense durante la Pasqua del Puedes, il primo di una serie che il cantastorie metterà in scena insieme a Matteo Bianchi e Irene Lodi, ideatori del format “Per conto di Ariosto”.
Il progetto di comunicazione, organizzato per l’Istituto di Storia Contemporanea e il Comune di Ferrara, si è proposto pubblicamente con l’intenzione di azzerare i 500 anni dalla pubblicazione dell’Orlando Furioso, grazie all’attualità di certi suoi temi sociali e al vissuto del poeta stesso, dentro e fuori dalla corte. “Io sono nato con una missione: raccontare – ha proseguito Pedrini –. Ma purtroppo vedo che anche oggi non gira troppo diversamente da 500 anni fa. Chi ha questa missione è condannato a rincorrere l’affermazione come si insegue una foglia secca portata dal vento: magari ti arriva addosso lei senza che tu muova una falange, magari la insegui una vita senza afferrarla. Servono due cose: la tenacia e la collaborazione del vento. Nati per rincorrere quelli come me. Perché i conti vanno fatti tornare. E io i conti li facevo tornare grazie ai… duchi”.
Oltre alla somiglianza straordinaria tra l’Ariosto improvvisato e quello autentico, almeno stando al pennello di Tiziano, l’immedesimazione si è dimostrata tanto graduale quanto convinta. E convincente. Il pubblico al Chiostro di San Paolo si è stretto intorno al palco per ascoltare i monologhi del cantautore sostenuti dall’interpretazione di Alessandro Tagliati che, con un’edera che gli spuntava dal taschino della giacca, leggeva direttamente dal poema.
“Ma la corrente si oppone alla direzione ostinata e contraria della mia rotta. La corrente si diverte a vedere consumarsi la forza e la convinzione delle mie bracciate”, ha incalzato Pedrini, che non avrebbe mai potuto accettare un alloro per asservire il potere locale; semmai guadagnarselo con la spontaneità delle sue idee. Non poteva mancare, difatti, un tributo a De André, il Faber che porta tatuato sul braccio; così un parallelo tra la follia del suo matto e quella che permise a Orlando di resistere agli incantamenti del Castello di Atlante, ai raggiri dei potenti mirati a fargli bere una realtà opprimente. Fu una folle resistenza anche alla bellezza ammaliante di Angelica. “Insomma – ha puntualizzato – se a voi uomini serve di fianco un’Angelica, fate quel diavolo che vi pare. Io, dal canto mio, sceglierò tutta la vita una persona autentica e di spessore, prima ancora che donna in quanto tale. Persona. Per-so-na. Perché voi, duemilasediceschi, pensate di aver raggiunto la parità dei sessi rispetto a 500 anni fa? Sul serio?”.
Dopo questa domanda tanto retorica quanto scomoda, Pedrini ha chiuso spezzando una lancia a favore della femminilità, quella dote inclusiva e coinvolgente che umanizza il mondo, lontano dai pregiudizi e dalle differenze superficiali: “Perché una donna con in mano una spada non spremerebbe mai sangue da un uomo disarmato”.
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