“Fabio Anselmo, da anni, sta contribuendo a scrivere, riga per riga, la storia dei diritti civili nel nostro paese. Facendo bene il suo lavoro. Ma questo lo capiremo tra qualche decennio”. Roberto Saviano elogia così, nella sua rubrica L’Antitaliano su L’Espresso (ereditata da Giorgio Bocca) l’avvocato di Ferrara noto per essere stato il legale di casi importanti come quelli legati ai nomi di Federico Aldrovani, Stefano Cucchi, Riccardo Magherini, Giuseppe Uva e, da ultimo, di Davide Bifolco, il diciassettenne ucciso dal colpo di pistola sparato da un carabiniere nel settembre 2014 a Napoli durante un inseguimento.
“Ci sono tanti modi per fare il proprio lavoro, uno è farlo bene – scrive lo scrittore -. Così, qualunque cosa facciate, riuscirete a lasciare il segno, a fare scuola. Ma non sarà facile, perché chi fa bene il proprio lavoro spesso finisce nel mirino di chi invece lo fa male. Spesso viene isolato, creduto mitomane, egocentrico, esagerato, soprattutto perché le uniche parole che restano sono quelle dei detrattori. Nell’immediato accade così, ma nel lungo termine, il livore lascia il posto a ciò che, mattone su mattone, si è costruito”.
Per Saviano Fabio Anselmo è uno che il suo lavoro lo fa bene, uno che con i suoi “processi mediatici” portato il controllo dei cittadini nell’amministrazione della giustizia, in casi che altrimenti “avrebbero percorso strade completamente diverse. Tutti processi che finivano per vedere, sul banco degli imputati, non più chi aveva picchiato o premuto il grilletto, ma le vittime e la loro vita, rivoltata come un calzino. Tutti processi in cui le vittime rischiavano di diventare colpevoli”.
Ma, come nel teorema prima spiegato, l’avvocato estense vive anche la fase di isolamento, e così Saviano elenca i casi in cui il suo modo di lavorare nei casi difficili, quelli che lui chiama di “morti di Stato”, viene apertamente e aspramente criticato. Si parte da Il Giornale che lo descrive come “l’avvocato che processa (in tv) i poliziotti” subito dopo l’omicidio Bifolco e si passa per le parole sprezzanti – “quando c’è un poliziotto nei guai, ecco che spunta lui. L’avvocato Fabio Anselmo. È come il prezzemolo” – di Gianni Tonelli, segretario del Sap, a cui Saviano dedica parole molto dure: “Il Sap è sempre in prima linea nel difendere poliziotti accusati di crimini nell’esercizio delle proprie funzioni, come con l’applauso agli assassini di Federico Aldrovandi; impossibile dimenticarlo. E, stranamente, non ha speso una parola (mai!) su Roberto Mancini, il poliziotto ucciso da un tumore sviluppato per aver lavorato per anni nella Terra dei fuochi”.
Per l’autore di Gomorra, Anselmo è invece “quell’avvocato che, con il proprio lavoro, ha insinuato nella mente di molti un dubbio, il dubbio che al nostro ordinamento manchi qualcosa di fondamentale: il reato di tortura. Perché – conclude Saviano – un poliziotto che salva un cittadino non cancella il reato commesso dal poliziotto che abusa del suo potere”.