Cronaca
10 Dicembre 2014
Aspetti medici e organizzativi nel processo per omicidio colposo che vede imputati due medici

Morte di legionella al Sant’Anna: “Carenze nella prevenzione”

di Ruggero Veronese | 4 min

sant'anna gioveccaÈ possibile correlare la morte di una paziente 71enne del Sant’Anna per tromboembolia polmonare e broncopolmonite con l’infezione da legionella che le venne riscontrata in seguito al decesso? Un quesito difficile da chiarire per il tribunale di Ferrara, impegnato nel processo per omicidio colposo che vede alla sbarra due medici, Ermes Carlini e Paola Antonioli, dell’ex ospedale di corso Giovecca. Medici che, secondo il pm Nicola Proto e i parenti della donna – ora parti civili attraverso l’avvocato Alessandro Gabellone – non avrebbero garantito come era loro responsabilità le condizioni di sicurezza necessarie a evitare un contagio all’interno della struttura sanitaria, causando così il decesso della paziente nell’ottobre del 2011.

La particolarità del processo sta soprattutto nelle modalità con cui la procura venne a conoscenza della morte della 71enne: non da una comunicazione dell’azienda ospedaliera, ma soltanto otto giorni dopo il fatto, quando il blog Osservatorio Cosapubblica pubblicò un post, firmato con lo pseudonimo Mariangela Fittizio, che annunciava: “È in corso in queste ore un’indagine epidemiologica con monitoraggio riferito ad un caso di malattia infettiva, legionellosi, che avrebbe colpito una paziente già ricoverata nel reparto di nefrologia. La donna è morta”. Una notizia che creò un certo clamore mediatico, sollevando anche un’interrogazione regionale della capogruppo Idv Liana Barbati e l’immediata replica dell’assessore alla sanità Carlo Lusenti, secondo cui la direzione dell’ospedale Sant’Anna “non ha rilevato tali responsabilità (cliniche od organizzative, ndr) e non ha pertanto inviato la relativa segnalazione alla procura della Repubblica”.

Procura che resta però convinta delle responsabilità dei due medici, e che anche durante l’ultima udienza ha chiamato in aula testimoni e consulenti per far luce sulla vicenda. Gli ambiti da chiarire sono principalmente due: da un lato circa l’effettiva presenza di legionella nel sangue della paziente – con le considerazioni del caso sulla possibile correlazione con l’embolia che provocò il decesso -, dall’altro l’aspetto più ‘organizzativo’ dell’ospedale, con analisi più mirate alle prassi di prevenzione e al rispetto delle linee guida regionali in materia di salmonella. Particolarmente spinosa la prima questione, visto che il batterio della salmonella è assai diffuso in tubature e impianti idrici ma rappresenta un rischio solamente per persone già immunodepresse o indebolite da altre malattie. Possibile quindi ricondurre il decesso solo a questo agente? Testimoni e consulenti aprono a tutte le possibilità, ma senza sbilanciarsi troppo. Secondo il medico Anna Rinaldi, ascoltata in qualità di testimone, le morte fu causata da una tromboembolia massiva e da una broncopolmonite, ma rimane il fatto che tutto ciò che ha a che fare con la coagulazione – quindi non solo l’infezione da legionella – può portare al rischio di trombosi e quindi di embolia. E il quadro clinico della 71enne presentava già al ricovero una serie di gravi patologie che avrebbero potuto concorrere a questo fenomeno.

Altro elemento di dubbio sottolineato dai difensori di Carlini e Antonioli, gli avvocati Andrea Toschi e Andrea Marzola, sta negli accertamenti condotti dagli organi sanitari: dopo la morte della 71enne, il reparto di medicina legale richiese una serie di analisi all’Istituto Superiore di Sanità, che confermò la presenza di legionella nel corpo della donna, ma senza scendere più a fondo nel rilevare altri batteri. Alcuni dei quali, come quello della clamidia, avrebbero potuto avere gli stessi effetti mortali. “Potrebbe essere stato presente – ha spiegato Maria Luisa Ricci dell’Iss -, ma una presenza così massiva di legionella ci ha fatto desistere da ulteriori analisi”.

Meno incerto appare l’aspetto organizzativo. Secondo il consulente della procura infatti nell’ospedale di corso Giovecca non erano rispettate le linee guida regionali per la prevenzione da legionella in vigore dal 2008, ma era presente solo un documento programmatico che prevedeva un adeguamento ‘in itinere’. Secondo la procura però al momento della morte della paziente non venivano eseguite alcune delle operazioni previste dal testo della Regione, tra cui il monitoraggio periodico dell’acqua nelle tubature. Solo nel 2012 l’azienda Sant’Anna recepirà interamente le linee guida regionali e comincerà a eseguire i controlli periodici dell’acqua nelle tubature, ma fino a quel momento, secondo il consulente, “le procedure di prevenzione erano carenti”.

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