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11 Novembre 2014
Mostra a Vicenza per il 5° centenario della morte dell’architetto e artista

Bramante e l’arte della progettazione

di Redazione | 4 min

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Per Palladio e Vasari, Donato Bramante (1444-1514) fu l’eroe della riscoperta della grande architettura classica: non solo rivoluzionò il concetto di spazio, ma reinventò l’immagine della chiesa e del palazzo rinascimentale. Ma come concepiva e progettava i suoi edifici, e come comunicava le sue idee a committenti e muratori lo racconta il Palladio Museum di Vicenza fino all’8 febbraio, in occasione del 5° centenario della morte dell’architetto e artista, con una mostra in collaborazione con la Biblioteca Hertziana, il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e la Fondazione Portaluppi di Milano.

Il tema della mostra ha al centro un disegno mitico: il foglio di lavoro su cui Bramante progetta la nuova Basilica di San Pietro a Roma. Da cinque secoli è probabilmente il disegno più importante per l’architettura del mondo occidentale. Siamo intorno al 1506 e nel concepire la più grande basilica della Cristianità per il Papa Giulio II, Bramante mette a punto un nuovo concetto di spazio architettonico ispirato a quello dei grandi edifici della Roma antica. È un processo per grandi, che Bramante registra sul foglio 20° mano a mano che esce dal suo cervello: il disegno è quindi una sorta di palinsesto, un diario di viaggio alla scoperta di quella che sarà l’architettura del Rinascimento. Accanto al disegno Uffizi 20 A di Bramante, sono esposti altri disegni d’architettura cinquecenteschi, come quelli con cui Andrea Palladio studia opere bramantesche. Oltre a trattati d’architettura nelle preziose edizioni originali, e disegni e modelli architettonici contemporanei di ricostruzione dei procedimenti mentali di Bramante.

La mostra ha origine dagli studi di Christof Thoenes, che in decenni di ricerche ha distillato una lettura dei procedimenti di Bramante al tavolo di disegno e l’ha sviluppata in una sequenza inedita di disegni interpretativi, realizzati con la collaborazione di Alina Aggujaro.

I due grandi architetti appartenevano a generazioni diverse: Palladio aveva sei anni quando morì Bramante nel 1514. Eppure Bramante rimane un riferimento fondamentale per Palladio architetto. Lo studio delle sue opere è documentata dai due disegni esposti in mostra, da alcuni accenni nei documenti e nelle due Guide Romane del 1554, ma soprattutto dai Quattro Libri. Qui troviamo un riferimento alla rampa del Belvedere e un intero capitolo al tempietto di san Pietro in Montorio. Nel tempietto Palladio propone il paradigma della rinascita dell’Antico. Come i templi antichi, infatti è caratterizzato da colonne libere all’esterno, e non solamente all’interno (come nelle chiese derivate dalle basiliche romane). Palladio tuttavia lo corregge. Rende le sue proporzioni più vicine alle regole vitruviane di quanto non avesse fatto Bramante, obbligato dalle preesistenze. E soprattutto ne contesta la logica compositiva: Bramante aveva proiettato delle lesene sulla parete della cella, vincolando la porta d’ingresso a dimensioni troppo esigue, tanto da farle invadere con le due lesene ai suoi fianchi. Sebastiano Serlio si limita a riportare la soluzione di Bramante, senza contestazione alcuna, nel suo trattato (presente in mostra). Palladio si rifiuta di negare, sia pur sul piano visivo, il valore portante dell’ordine: mantiene integre le lesene, preferendo disegnare fra loro una porta angusta e sproporzionata.

Il tempietto di Santa Maria della Pace di Bramante è circolare, sormontato da cupola e circondato da una peristasi di colonne tuscaniche sopra cui è una terrazza con balaustra. La forma dunque romaneggiante e richiama precedenti illustri, dal Tempietto di Baalbek al Tempio del Sole di Roma (purtroppo scomparso ma ancora riconoscibile ai tempi di Bramante abbiamo infatti nozione della sua pianta attraverso un disegno eseguito da Andrea Palladio, visibile in mostra).

San Pietro in Montorio è un edificio dalla ridondanza baroccheggiante fra architettura ed atmosfera, con movimento spaziale pluridirezzionale, tanto che l’edificio è stato definito ‘una forma architettonica proiettata nello spazio’, ed è una definizione giusta purchè si aggiunga che la proiezione è globale, ossia che avviene secondo la dilatazione continua, caratteristica della linea curva. Infatti il passaggio dall’aperto (l’ambiente circostante) al chiuso (l’edificio) e viceversa è graduato. Lo spazio penetra nella costruzione attraverso le colonne, la balaustra, le nicchie scavate nel cilindro interno; e il tempietto si proietta in esso mediante le proprie sporgenze e vi si muove come ruotando su se stesso, mentre le luci e le ombre si alternano con ritmo solenne, seguendo le plastiche movenze di una struttura che, fin nei particolari, limita al massimo la fermezza delle superfici linee. Anche il passaggio dalla orizzontale del piano d’appoggio alla verticale dell’edificio è mediato dai gradini circolari (che con la ricorrenza delle loro linee scandiscono il primo lieve movimento ascensionale), successivamente dal colonnato (che, contemporaneamente, può essere penetrato orizzontalmente e sale verticalmente), poi dalla sovrastante rientranza del corpo circondato dalla terrazza e, infine dal balzo curveggiante della cupola che conduce al vertice del coronamento. Si conferma in questo tempietto, con solidità cinquecentesca, la filosofia umanistica del rapporto fra ciò che è frutto della mente e spazio naturale.

Palladio Museum, Contra’ Porti 11, Vicenza, mostra aperta fino al 9 febbraio.

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