(foto di Alessandro Castaldi)
Comincia alle 18:15, in leggero ritardo sulle tabelle di marcia, l’intervista del premier Matteo Renzi al festival di Internazionale a Ferrara. Il primo ministro italiano si ‘sottopone’ alle domande della stampa estera riguardo all’operato del governo, sia in termine di politiche interne che di tematiche internazionali, da parte di Michael Braun (Die Tageszeitung), Irene Hernández Velasco (El Mundo) e Ferdinando Giugliano (Financial Times). La visita di Renzi a Ferrara è cominciata attorno alle 17 con la visita alla scuola d’infanzia dell’Aquilone.
Al suo arrivo il premier ha subito la contestazione di alcuni attivisti, ma non sono mancati neanche gli applausi da parte dei suoi sostenitori radunati in piazza Municipale.
Primo a prendere la parola è Braun, che chiede a Renzi qual è la posizione del governo in materia di immigrazione, ricordando la ricorrenza della tragedia di Lampedusa, avvenuta un anno fa. “Il vero problema – risponde Renzi – è un altro: non si va da nessuna parte se non si risolve la questione Libia. L’immigrazione parte dalla Libia perchè è un paese assolutamente fuori controllo. Finché non si risolve il problema di democrazia della Libia non si risolverà il problema di Mare Nostrum”. Renzi insiste quindi sulle ipotesi di “fare luoghi di accoglienza anche in Nord Africa” e “di cercare di riportare libertà e democrazia in Libia”. Ma Mare Nostrum continuerà? – lo incalza Braun -. “Il piano non sarà abbandonato – ribatte Renzi -, non finchè non ci sarà un impegno dell’Unione Europea uguale o superiore a quello dell’Italia”.
La domanda successiva, da parte della Velasco, è riguardo al tema dei diritti civili e del percorso del governo in tal senso. Renzi risponde dichiarandosi a favore della ‘civic partnership alla tedesca’ e dello ius soli temperato, di cui il parlamento discuterà dopo l’approvazione delle riforme costituzionali. “La riforma costituzionale entrerà in discussione a metà novembre – afferma Renzi -, e in quel periodo il Senato voterà la legge elettorale. Subito dopo affronterà il tema della civic partenership alla tedesca, che fu già oggetto delle primarie del Pd: alcuni candidati come Pippo Civati sostenevano con più forza l’equiparazione al matrimonio, altri il modello tedesco. Sulla civic partenrship sono ottimista e determinato. Subito dopo verrà il tema dello ius soli, che credo ormai sia visto positivamente dalla maggior parte del Paese”.
La terza domanda, strettamente economica, spetta a Giugliano, che chiede a Renzi la posizione del governo sui vincoli di Maastricht sul rapporto deficit/pil, e in particolare se la scelta di rispettare i suoi limiti – al contrario di quanto ha optato la Francia – non rischi di “uccidere il paziente per salvare la credibilità del medico”. La risposta del premier vuole sottolineare gli ‘anacronismi’ nei parametri di Maastricht: “Chi è nato dopo il 92? – chiede Renzi al pubblico – Su le mani. Quant’è, un terzo? Un terzo di voi nel ’92 non c’era e non c’erano un sacco di cose nel ’92. Era un altro mondo. I parametri di Maastricht risalgono a quel mondo là. Sostenere che quei parametri non sono attuali è un dato di fatto. L’Italia li rispetterà, ma ha il diritto di dire che non sono attuali”.
La domanda successiva, da parte di Braun, è sulla riforma del mercato del lavoro. “Mi è nato forte dubbio sulle cifre – premette il giornalista -: parlate di 1,5 miliardi di finanziamento aggiuntivo. Non è un po’ pochino per garantire una protezione contro la disoccupazione?”. La risposta di Renzi parte molto ‘larga’, andando a toccare anche il tema della riforma delle legge elettorale, tanto che Braun lo ‘richiama all’ordine’ chiedendo di tornare al tema del discorso. “Il meccanismo è semplice – risponde il premier -: portiamo le aziende a creare lavoro. Con queste regole del mercato del lavoro la disoccupazione è quasi raddoppiata in sette anni. Come si fa a convincere un’azienda straniera a venire in Italia? Oggi se la fanno sotto: hanno paura della giustizia italiana e dell’incertezza dei suoi tempi. E sono terrorizzate dal tema della corruzione”. Vengono poi “le tasse” e “la necessità di un mercato del lavoro che quantifichi l’indennizzo, un principio di rivoluzione copernicana che tutti i paesi hanno”.
Ed è in questo senso che “i sindacati devono cambiare”. D’altronde “se i sindacalisti o i loro iscritti votano Lega qualche domanda devono farsela”. E qui arriva un altro affondo: “pensate poi che l’articolo 18 vale per tutti tranne che per partiti e sindacati..”, prima di annunciare che martedì incontrerà Cgil Cisl e Uil.
Ma la riforma del lavoro porterebbe a un ulteriore patto di governo con Forza Italia? “Non accadrà e comunque non porterebbe a un nuovo governo di larghe intese”. E, sulla legge elettorale, il premier strappa applausi quando insiste col dire che “è giusto cambiare la legge elettorale assieme all’opposizione”.
Arriva dalla Velasco la prima vera domanda ‘proibita’: le riunioni con Berlusconi sono rimaste nel segreto più assoluto, non si sa cosa si è detto, non c’è una foto relativa al ‘patto del Nazareno‘: “a quando un selfie con Berlusconi?”. “Non c’è nulla sotto. Si dice che c’è sotto la giustizia o la Rai. Ma non è vero. Se poi non mi credono, che cosa ci posso fare? C’è una cultura del sospetto in Italia”. Ma lui non è qui “per parlare male di Berlusconi, sono qui per parlare bene dell’Italia. C’è un paese da rimettere in piedi. Se abbiamo preso il 40 per cento è perché abbiamo parlato dell’Italia e non di Berlusconi”.
Glissata clamorosamente la domanda, eccone un’altra, sempre sul perenne avversario. È Braun a strappare applausi quando chiede se questa alleanza con un pregiudicato non condizioni le scelte del governo in materia di autoriciclaggio o falso in bilancio. Anche qui il premier esula dal merito e ricorda che “In Italia il vero problema è che ci sono fin troppe leggi e occorre applicarle”. Mentre il dialogo col pregiudicato si giustifica con “il rispetto che ho, da democratico, verso i milioni di elettori che hanno votato Forza Italia”.
Sempre dal palco gli si chiede conto dei tanti annunci non seguiti dai fatti. “Quali?” si chiede a voce alta, prima di dire che “nei primi sette mesi ne ho fatti tanti, ci mancherebbe”, e tra questi l’aver comunicato “molto peggio di come abbiamo governato”, senza essere “in grado di mostrare come la concretezza dell’azione di governo è molto superiore agli annunci”.
Viene poi il tema caldo dello scontro interno al Pd che ha oggi come argomento principale il crollo dei tesseramenti (dalle 500mila iscrizioni del 2013 alle attuali 100mila): “la partita più importante non è quella delle tessere per far vincere un segretario, è quella delle idee. E degli ideali”.
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