Si è aperto con un “colpo di scena” – per usare le parole del pm Alberto Savino – l’ultima udienza sulla morte di Anacleto Beneventi, l’elettricista comacchiese morto a 36 anni, il 3 aprile 2008, mentre lavorava in India alla realizzazione di una nave cargo. I difensori dell’allora datore di lavoro di Beneventi, Gabriele Orioli della ditta Bs Impianti, hanno infatti presentato al tribunale una nuova perizia che metterebbe in discussione tutta la ricostruzione dell’incidente su cui ci si è concentrati fin dall’inizio del procedimento. Secondo la quale il tecnico comacchiese avrebbe perso la presa mentre scendeva da una scala a pioli, cadendo per oltre 10 metri fino a schiantarsi sul ponte della nave.
Impossibile infatti, secondo la nuova consulenza, determinare con precisione il punto da cui cadde Beneventi. E, di conseguenza, accertare che la scala indicata dalla procura sia stata davvero fatale all’elettricista. Una versione dei fatti accolta con evidente perplessità e scetticismo sia dal pm Savino che dall’avvocato di parte civile Marco Linguerri, che assiste i familiari di Beneventi e che si è già visto riconoscere risarcimenti privati da parte di Paolo Clerici e Guglielmo Bedeschi, rappresentanti legali delle altre due aziende coinvolte nel cantiere indiano (Coe Clerici e Bedeschi Spa). Perplessità dovute al fatto che, per quanto nessuno testimone abbia potuto assistere direttamente al tragico incidente che costò la vita a Beneventi, gli indizi raccolti durante le indagini suggeriscono una visione ben precisa dell’accaduto. Quella secondo cui l’elettricista stava percorrendo una scala a pioli verticale e senza protezione marinara quando scivolò e cadde nel vuoto. “Una ricostruzione logica del fatto”, secondo il pm Savino, che si è basato sia sui rilievi tecnici dei periti (che hanno individuato quello che a loro avviso era l’unico punto di caduta compatibile con l’impatto) sia sulle effettive mansioni di Beneventi nel cantiere e sulle zone in cui si trovava a lavorare.
Né la requisitoria del pm, né l’arringa di Linguerri sono state quindi influenzate dal tentato ‘colpo a effetto’ della difesa di Orioli, ed entrambe si sono concentrate sulla ricostruzione dei fatti proposta durante il processo al tribunale. Una versione che potrebbe costare una condanna penale ai tre imprenditori coinvolti nell’inchiesta, che devono rispondere del mancato rispetto delle norme di sicurezza all’interno del cantiere: secondo varie testimonianze raccolte durante le indagini infatti i corsi di formazione alla sicurezza non scendevano nei particolari di un cantiere navale e alcune delle attrezzature, come i cinturoni sicurezza, non erano del tipo adatto a proteggere da una caduta dall’alto.
Al termine della propria requisitoria Savino ha chiesto pene dai sei mesi a un anno per gli imputati. La richiesta più alta è quella diretta a Orioli, unico degli imputati a non aver risarcito la famiglia Beneventi e che per il quale, per questo motivo, il pm ha chiesto l’equiparazione tra aggravanti e attenuanti generiche. Durante la prossima udienza, prevista alla fine della prossima settimana, gli avvocati difensori pronunceranno le proprie arringhe conclusive prima dell’attesa sentenza.