“Pagavamo 50 o 100mila lire per entrare nel privè con le ragazze, ma per quanto ne so nessuno ha mai avuto rapporti sessuali con loro”, raccontano i testimoni nell’aula B del tribunale di Ferrara mentre spiegano i loro trascorsi nel night club copparese in cui, secondo la procura, si praticavano sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Era il 2001 e si facevano ancora i conti in lire quando la squadra mobile di Rovigo avviò l’indagine che portò a un blitz e a diversi arresti tra i soci del locale “Blue Jeans” di Occhiobello. Ora, a 13 anni di distanza, si aprono i due processi (a Rovigo e Ferrara) che chiariranno se i night club ‘incriminati’ fossero davvero – come sostiene la procura – ‘case chiuse’ i cui titolari gestivano un giro di prostituzione per i propri clienti.
Il processo che si tiene nel tribunale di Ferrara riguarda un locale a Copparo, legato al Blue Jeans di Occhiobello dalla frequentazione degli stessi soci e avventori. Si parla di soci, piuttosto che di titolari, perchè come avviene per molti tipi di locali, anche di ben diversa ‘levatura’ culturale, l’attività è gestita da un’associazione e per accedervi è necessario iscriversi e possedere una propria tessera. Un dettaglio che rende assai confuso il confine tra gestore e avventore di un locale, con tutte le relative difficoltà per gli inquirenti nel ricostruire la struttura di quello che è – secondo la loro tesi – un gruppo organizzato per lo sfruttamento della prostituzione delle giovani ballerine di lap dance, in gran parte ragazze straniere.
La parte più corposa dell’inchiesta è quella relativa al locale di Occhiobello, dove la squadra mobile di Rovigo riprese con tre telecamere nascoste e registrazioni ambientali dei veri e propri rapporti sessuali all’interno dei privè, dove ci si appartava, per un costo tra le 50 e le 100mila lire, con il pretesto di una lap dance ‘intima’ e lontana da occhi indiscreti. Diversa la situazione del locale copparese, dove non furono effettuati simili riscontri sul campo, ma la squadra mobile di Rovigo notò che diverse persone si alternavano tra i due locali e raccolse alcune testimonianze che indicherebbero anche il night club di Copparo come ‘copertura’ per una casa chiusa illegale.
L’inchiesta ha portato al rinvio a giudizio per nove persone, chiamate in causa con differenti ruoli e posizioni ipotizzate. Dopo l’udienza preliminare a Rovigo, l’avvocato difensore Paolo Guidorzi sollevò questioni di legittimità territoriale e per questo parte degli imputati furono stralciati e trasferiti come competenza al tribunale di Ferrara. Michele Piazzi, 53enne di Ferrara e Marco Pozzati, 46enne di Copparo, sono le due figure che compaiono in entrambi i processi. Per il filone copparese sono tre gli altri imputati (difesi dagli avvocati Eva Neri, Enrico Fantini e Paolo Guidorzi): Uber Pelati, Giovanni Facco e una donna nigeriana, Brigitte, che lavorava come barista nel locale. A Occhiobello compaiono invece i nomi di Mihaela Aiacoboaie, 44enne residente a Ferrara, Massimiliano Chinaglia, 43enne di Legnago, Flora Didi Guobadia, 45enne nigeriana residente a Santa Maria Maddalena e Roberto Turra, 44enne di Ferrara e residente a Occhiobello. In seguito al blitz della squadra mobile al ‘Blue Jeans’, nel 2001, Pozzati, Piazzi e Facco finirono in carcere, ma la misura cautelare fu poi sospesa dal tribunale del riesame di Venezia.
Durante l’udienza nel tribunale di Ferrara il giudice collegiale ha ascoltato tre ex clienti del night club di Copparo, che hanno confermato – non senza qualche imbarazzo, visto che nei 13 anni trascorsi c’è anche chi ha drasticamente cambiato stile di vita – di essersi appartati nei privè per sessioni di lap dance e qualche bacio con le ragazze, ma hanno negato di aver mai consumato rapporti sessuali all’interno del locale copparese. “Per 50 o 100mila lire stavamo circa 15 minuti con la ragazza che ballava e faceva uno spogliarello, dopo che ci aveva portato una bottiglia di vino”. La domanda finale del giudice a un testimone alleggerisce la tensione che si respira in aula: “Per 100mila lire erano vini di buona qualità, almeno?”. Il testimone risponde con un sorriso autoironico: “Mica tanto, era un lambrusco da pochi soldi”.
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